Angelo Conti (Ferrara, 1812 – Ferrara, 30 settembre 1876) è stato uno scultore e paleontologo italiano.
Figlio del poeta ed erudito Filippo[1] fu dapprima in formazione all'Accademia di belle arti di Bologna sotto Giacomo De Maria e dal 1827 frequentando dapprima le scuole del Campidoglio[2] poi l'Accademia di San Luca di Roma, dove venne premiato negli anni 1827, 1828, 1829 e 1830[3] e frequentando lo studio di Bertel Thorvaldsen[2] e di Minardi (1828-1831).[1] Tornato a Ferrara nei primi giorni del 1831 per consegnare alla Magistratura un busto di Ludovico Ariosto, ripartì per Roma già in aprile per poi ritornare a Ferrara nel '35 per donare al Gonfaloniere due busti in gesso raffiguranti Benvenuto Tisi da Garofalo, al quale dedicherà anche un bassorilievo all'ennesimo rientro romano.[2] Nel 1840 disegnò i monumenti a Guarini e Navarra.[1] Il 1852 lo vide lavorare nello studio di Camillo Torregiani a Ferrara[3] e iniziare a Roma la sua attività di paleontologo.[1] Tornato nuovamente a Roma nel 1853, eseguì i busti di Lorenzo de' Medici (trasformato da quello Giovanni dalle Bande Nere[4]) e Stesicoro[5] (1860) entrambi per la Salita del Pincio,[3][6] per la quale restaurò cinque busti danneggiati da un vandalo, che li aveva privati del naso.[1] Il suo studio era posto in via Sistina n. 75C.[7]
Rimpatriato definitivamente nella primavera del 1869, trovò momentaneamente accoglienza nello studio di Gaetano Davia:[1] versando in difficoltà economiche richiese sussidi per mantenere la sua numerosa famiglia, proponendo ai consiglieri ferraresi di acquistare le sue opere Paride (Paride in atto di uccidere Achille[8]) e l'allegoria della Notte (facente parte di un gruppo di cinque opere che l'autore si era portato a Roma[9]) e proponendosi, ad acquisto avvenuto, di donare al Comune la sua collezione di fossili d'epoca pliocenica derivante da Monte Mario[2] poi donati nel '69[7][6] completando la donazione nel '71:[1] il Comune, l'anno seguente, in cambio di altri oggetti, inviò parte della collezione al Gabinetto mineralogico di Vienna.[1] Come acquisto, venne scelta da Giovanni Pividor[2] la Notte essendo Paride troppo costoso e Saffo non disponibile. L'allegoria risulta consegnata nel settembre 1869 e posizionata appena dopo da Giovanni Fei, custode della Pinacoteca municipale[2] ed inviata da Pividor al I° Congresso Artistico di Parma.[1]. Di recente una sua figura marmorea di arciere, datata 1864, è approdata sul mercato antiquario veronese[10]
Fu insegnante di Scultura al Civico Ateneo dal novembre 1869 sino alla morte[2] (gli succedette Luigi Legnani dopo l'abbandono di Luigi Bolognesi, partito definitivamente per Roma[1]). A fine ottobre dello stesso anno il primo cittadino Trotti ringrazia Conti e lo informa di esser stato nominato professore di Scultura, inviando nel mese successivo, a lui ed ai colleghi, una missiva con le norme da seguire per regolare le ammissioni ai corsi. Nello stesso mese, avvenne la proposta di arredare alcuni ambienti della sede della scuola, Palazzo dei Diamanti, con modelli allora in deposito realizzati da Giuseppe Ferrari, predecessore di Conti.[2] Successivamente (26 marzo 1870), in qualità di membro della Commissione di Belle Arti (mentre è testimoniato all'Esposizione nazionale di Parma[6]) Conti partecipò alle discussioni relative al nuovo ordinamento da applicare sia alla scuola da lui diretta che in quelle di Ornato, Elementi di Architettura, Prospettiva, Figura, Nudo, Anatomia, Pittura ad olio e Composizione, modifiche approvate ad aprile e divulgate in opuscoli stampati dalla Tipografia dell'Eridano.[2] L'11 ottobre 1870 chiese a Trotti un aumento di stipendio (all'epoca di 100 lire, 75 come da contratto e 25 ad esso donate da benefattori), respinto dai consiglieri per mancanza di fondi (delibera del 7 febbraio 1871). Il giorno successivo, a seguito della morte del professore di Anatomia Massimiliano Lodi, venne modificato il regolamento scolastico dell'anno precedente assegnando a Conti anche i corsi di Nudo, materia che l'insegnante reputava fondamentale per il buon apprendimento della materia scultorea. In risposta, Conti scrisse una relazione citando i progressi degli allievi frequentanti il proprio corso: Olinto Martinelli, Luigi Legnani, Luigi Bolognesi, Amilcare Baarlam, Pietro Boldini, Antonio Giereme ed Ernesto Maldarelli.[2] A fronte del buon rendimento e condotta degli allievi, vi era al contrario quello dell'insegnante, segnalato per diverse cattive abitudini (si rinchiudeva nello studio senza seguire gli allievi durante le lezioni, cuoceva il cibo nelle stanze didattiche danneggiando muri, attrezzi ed opere) tanto da essere ripreso dal primo cittadino. Da poco concluso il Monumento Poletti, considerandosi invece un insegnante irreprensibile visti i successi accademici dei propri allievi, Conti richiese al sostituto del sindaco un certificato ufficiale in cui risultassero formalmente sia le sue doti accademiche che di professionista, ottenendolo il 10 novembre. I dissapori con la Commissione di Belle Arti si manifestarono all'inizio del 1873, quando l'insegnante si dimise a febbraio (per la seconda volta), a causa di un provvedimento comunale atto a limitare i danni causati dai vandali nelle sale contenenti i capolavori della scuola, impedendo al Conti di usare un'abusiva comunicazione tra la scuola e la strada. Il presidente Gerolamo Scutellari approvò le dimissioni senza però chiudere la scuola, per non penalizzare gli otto studenti frequentanti e per non far diminuire il numero di scultori ai quali commissionare opere per la Certosa, nonché per evitare di far venir meno la fruizione della scuola, basata sulla disposizione testamentaria del defunto scultore Vidoni. Si procedette ad eleggere come sostituto sino alla fine dell'anno accademico (per il successivo anno si sarebbe indetto un concorso pubblico), Ambrogio Zuffi nel marzo 1873, già allievo di Ferrari, mentre nell'autunno dell'anno prima fu rilasciato un nuovo ordinamento scolastico (stampato dalla Tipografia Taddei). In aprile, Conti torna su i suoi passi, volendo riprendere la cattedra almeno fino a giugno e dandone notizia a Scutellari, che ne informò il sindaco sollecitandolo a liquidare Conti il prima possibile e sostituendolo col vincitore del futuro concorso. Informato lo scultore che non sarebbe stato più di ruolo dopo la fine dell'anno accademico, ad inizio giugno ricevettero la replica con la quale Conti informava che, avendo ottenuto la commissione per l'esecuzione di un nuovo monumento, non aveva più la necessità di abbandonare l'insegnamento per cercare altrove un lavoro maggiormente redditizio e, quindi, non avrebbe voluto abbandonare la cattedra, avanzando al contempo altre richieste utili ai fini didattici nella scuola. In risposta, si vide riprendere nuovamente a causa delle continue lamentele inoltrate alla Giunta e per i suoi comportamenti inadeguati, segnalati anche durante il successivo periodo estivo, tra cui ulteriori violazioni al regolamento e insulti al collega Giordani, fatti che lo portarono a ricevere una denuncia al sindaco nell'ottobre '73.[2] Nel novembre dell'anno successivo, Conti è di nuovo al centro di polemiche per aver ripreso troppo severamente l'allievo Legnani, uno degli studenti poi superstiti a seguito delle difficoltà in cui versava la scuola, assieme a Maldarelli, il napoletano Vincenzo Certo (futuro genero di Gaetano Davia), Giulia Davia (futura sposa di Certo), Fei, Bolognesi[2] ed Emanuele, fratello di Giulia.[1] Nuove polemiche furono innalzate nel 1875 dall'insegnante a fronte di stanziamenti elargiti dal Comune per spese che riteneva ingiuste e contro l'attività didattica di Giovanni Pagliarini che nel frattempo era stato nominato insegnante alla Scuola di Pittura; a settembre, venne richiesta dalla Commissione di Belle Arti al Comune, la messa a riposo dello scultore, caldeggiata anche dagli allievi dello stesso, i pochi rimasti a frequentarne i corsi, oltretutto ignorati negli insegnamenti da parte di Conti. Il pessimo carattere e la negativa condotta, portarono il Comune a prendere urgenti provvedimenti riguardanti il declino in cui versava la sezione da lui diretta. La moglie Angela Silvani, il 26 settembre 1876 si rivolse al sindaco chiedendo fosse decurtata dallo stipendio del marito la spesa mensile di 60 lire dovuta per il suo ricovero all'Arcispedale Sant'Anna, vedendo lo scultore perire il seguente 30 settembre[2] in stato di assoluta povertà.[11] Durante le esequie, avvenute il 2 ottobre nel tempio di San Cristoforo in presenza di colleghi scultori, amici ed allievi, venne lodato da due di quest'ultimi in una breve ma toccante orazione.[2] Il 9 agosto 1878 i suoi resti vennero trasferiti da un campo comune ad una posta disponibile tra i colombari Casazza e Bonaccioli, sempre in Certosa.[1]
Oltre a partecipare a diverse rassegne della Tisi[1] espose nel 1857 a Roma Donna velata nell'harem[3] alla mostra annuale della Società degli amatori e cultori delle belle arti.[6]
Conti si può includere nella schiera di scultori che fino ben oltre la metà dell'Ottocento risultano essere esecutori di opere di piccolo e medio formato (nel caso di Conti, la sua Notte, opera di grande qualità pur non avendo avuto in origine una precisa committenza e quindi destinata al mercato) rivolte al commercio internazionale piuttosto che alla realizzazione di monumenti ed opere a carattere funerario. Quest'opera, nel suo impianto compositivo e nella levigata bellezza del volto priva di ogni senso naturalistico, riporta all'ascendenza esercitata da Thorvaldsen sul ferrarese, che amava dichiararsi suo allievo, nonostante nella lettera di Ferrari a Tenerani si ascrivesse la sua formazione più a Francesco Massimiliano Laboureur[12]) (1767-1831) e Adamo Tadolini.[13] Dettata dall'ammirazione del danese è anche l'individuazione del soggetto richiamante gli ammirati[14] e molto replicati[15] tondi de Il giorno e La notte, per quanto abbia scelto l'insolito pipistrello, forse più di indole romantica rispetto alla più consueta civetta. L'artista era sicuramente consapevole della propria qualità artistica, denotata anche dal Virtuosismo messo in atto nella resa del leggerissimo velo.[16] che rimanda ad opere celebri quali il Cristo velato e la Pudicizia, entrambe nella Cappella Sansevero.[9]
Durante il periodo romano, oltre all'attività di scultore, Conti coltivò in generale un forte interesse per le scienze naturali ed in particolare per i fossili di Monte Mario, seppur senza avere una formazione specifica, arrivando ad accumulare una collezione di circa 20.000 pezzi già nel '64.[1] Sotto la guida dello zoologo Temistocle Metaxà dal 1852, eseguì ricognizioni a Monte Mario: potendo sia frequentare la biblioteca di Metaxà e con la frequentazione di altri collezionisti (tra cui i fratelli Rigacci, commercianti romani) col tempo vi fu la progressiva trasformazione da collezionista ad esperto delle faune di Monte Mario, giungendo a produrre diverse pubblicazioni dal 1864, dove descrisse diverse specie nuove, mentre in quella del '66 segnalò la presenza di pteropodi nelle marne del monte. Fu socio di diverse accademie scientifiche e di fatto l'unico donatore ottocentesco del Museo di Storia Naturale ad avere competenze scientifiche. Seppur successivamente smembrata a seguito di scambi con altri istituti, la Collezione Conti, poi in parte ricostruita, rimane tra le principali del fondo storico del museo ferrarese. Nel 2015 risultava distribuita in quattro nuclei principali:
Nonostante Conti dichiarasse di non aver mai venduto i propri reperti, successivamente furono trovati documenti che riprovano sia acquisti che vendite oltre ai nuclei donati nonché il declino dei rapporti tra lo scultore e l'allora direttore del museo ferrarese, Galdino Gardini (1822-1907).[7]
Nell'opera Fauna malacologica mariana, (1907-1916), Serafino Cerulli-Irelli ebbe parole di grande apprezzamento verso il ferrarese.[7]
L'edizione del '71 fu pubblicata da Galdini col titolo Catalogo Generale del Museo di Storia Naturale della Libera Università di Ferrara, Sezione di Paleontologia appena dopo la pubblicazione della seconda edizione di Conti, estraendone uno stralcio ed utilizzando la stessa matrice di stampa rimpaginata.[7]
Oltre a quelle già citate:
In Certosa fu autore di monumenti funerari fra cui quello dedicato a Benvenuto Tisi da Garofalo[3] (1838[6] nel Famedio[18]):
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