Jacobello Alberegno, o Iacobello (... – Venezia, ante 14 luglio 1397), è stato un pittore italiano.
L'unica notizia certa sulla sua biografia è il testamento, fatto rogare dalla moglie Zanetta, 14 luglio 1397. Fu uno dei pochi pittori trecenteschi veneziani che subirono l'influsso di Giotto e dei giotteschi.
L'unica opera firmata, il piccolo Trittico della Crocifissione nelle Gallerie dell'Accademia a Venezia, messa in dubbio da Cavalcaselle ma pienamente riconfermatagli nel 1947 dal Longhi grazie alle pulizie del 1939, rivela un contrasto tra la parte centrale della Crocifissione – di più stretta derivazione giustiana, e di lì ai modelli toscani più antichi – e quelle laterali, coi santi Gregorio e Girolamo smisuratamente allungati rispetto alle più umane misure delle figure centrali e nettamente ispirate alla scuola ancora bizantineggiante di Paolo Veneziano, anche nella «intensità sfolgorante dei rossi e degli azzurri»[1].
Ancora il Longhi ha convincentemente attribuito ad Alberegno anche il Polittico dell'Apocalisse, pure all'Accademia, già nella chiesa del monastero di San Giovanni Evangelista a Torcello fino alle soppressioni poi trasferito a Vienna e restituito dopo la prima guerra mondiale. I notevoli influssi di Giusto de' Menabuoi l'avevano fatto attribuire anche a questi, tra gli altri. In questo caso Jacobello rende omaggio a Giusto ma traduce «la parlata del toscano su un piano più veneziano» nella luminosità dei colori e nell'aulica ricchezza di sensi allegorici della tavoletta centrale della Visione di san Giovanni a Patmos[2].
Suo congiunto fu Pietro Alberegno, pure pittore, citato nella parrocchia di Santa Lucia l'11 maggio 1394, la stessa di Jacobello. Non è possibile stabilire alcuna relazione con la famiglia patrizia Alberegno, già estinta nel 1301, né con altri facoltosi Alberegno che possedevano alcune case attorno alla corte omonima in fondamenta degli Ormesini o che avevano alcune sepolture ai Servi[3].
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