Selim Abdullah (Baghdad, 13 maggio 1950) è uno scultore, pittore e incisore svizzero.
Compie la propria formazione a Bagdad diplomandosi nel 1975 presso l'Istituto di Belle Arti. Nella capitale irachena avvengono anche le sue prime esposizioni, collettive e personali.
Nel 1975 si trasferisce a Firenze per frequentare l’Accademia di Belle Arti: vi si diploma in scultura nel 1979. In Toscana continua la propria attività espositiva con mostre personali e collettive.
Dal 1981 si trasferisce nella Svizzera Italiana, con studio a Besazio (Mendrisiotto).
Tra il 2006 e il 2015 vive e lavora fra Parigi e Atene.
Dal 2018 ha lo studio a Genova e a Lugano.
Ha partecipato a varie mostre collettive e personali, in Gallerie e Musei di differenti città svizzere ed europee. Sue personali si tengono, tra le altre, alla Galleria am Züriberg di Zurigo (1986), alla Galleria Verena Müller di Berna (1987), alla Galleria Kara di Ginevra (1989), alla Cité Internationale des Arts di Parigi (1989), al Museo Epper di Ascona (1991), al Palazzo dei Diamanti di Ferrara (1992), al Castelgrande di Bellinzona (1993), alla Galleria Bambaia di Busto Arsizio (1993, 1996, 2010), alla Galleria Koenart di Watou (Belgio, 1997), alla Galleria Matasci di Tenero (1997, 2012), alla Galleria Devoto di Genova (1999), allo Spazio-Teatro di Chiasso (2001), a Villa Rufolo di Ravello (2002), al Museo d'Arte di Mendrisio (2003-2004), al Centro Culturale Svizzero di Milano (2004), al Museoteatro della Commenda di Prè di Genova (2011), al Museo Archeologico di Finale Ligure (2012), al Museo d’Arte di Appenzell (2017, 2020), allo Spazio-Laboratorio d’Arte Salita San Francesco di Genova (2019-2020).
Oltre a sculture di media e piccola dimensione, l’artista realizza opere a carattere monumentale di pubblica fruizione, tra l’altro a Bellinzona, Chiasso, Lugano, Genestrerio, Mendrisio.
La formazione del giovane Selim avviene nel segno della scultura classica, di cui assimila in particolare, con l'approdo a Firenze, la lezione del Rinascimento toscano; quindi si connette direttamente ai maestri moderni (Auguste Rodin, Émile-Antoine Bourdelle, Medardo Rosso, Umberto Boccioni, Alberto Giacometti). Centro della sua ricerca è la figura, o il gruppo di figure, viste in una sintesi di monumentalità e di fragilità, quali sofferte presenze nella storia degli uomini: immagini di una memoria recente e nello stesso tempo antica.
Tracce di riferimenti alla sua cultura d'origine si manifestano nel dialogo costruttivo-narrativo tra le figure e lo spazio che si articola via via nel corso degli anni, sviluppando strutture sempre più aperte, leggere e complesse. Nel ciclo di opere in bronzo, Corpi e sillabe e Corpi e corpi (2004-2010), il silenzio di un millenario dolore è compenetrato dall'introduzione di lettere dell'alfabeto, di segni e di scritture che, in alcuni passaggi, divengono sillabe, e che variamente si integrano nelle fisionomie umane assumendone le peculiari forme anatomiche. Mentre nel ciclo di composizioni ispirate agli Attraversamenti (2001-2011), le figure sono esili folle d’uomini che vagano su vascelli sospesi tramite uno stelo sopra la piattaforma di base, che prende corpo ora in terracotta, come mare-territorio dopo una catastrofe, ora in terra cruda, su cui riemergono forme naturali e si rivelano segni ed impronte: in un'associazione di proporzioni e tecniche diverse - bronzo e terracotta, incisione, disegno e pittura - che, in tempi e modi differenti, hanno da sempre accompagnato l’arte di Selim (M. Snieder Salazar1). La sua più recente ricerca artistica è ora tesa a dar vita ad un’evocazione non solamente ideale – ma anche attiva della memoria - di alcuni cammini della storia, che dalla Mesopotamia attraversano il Mar Rosso per approdare al Mediterraneo: da Ur ai Fenici, ai Greci. Le diverse materie impiegate dall’artista (bronzo, argilla e pittura) convivono insieme intessendo una narrazione di minimi gesti, un epos domestico, che pur si raccorda e si associa, nel ricordo, ai percorsi della grande epica delle genti. […] Così, quello di Selim è stato e continua ad essere un percorso incessantemente volto a trovare - attraverso i raccordi fra le diverse materie - il tempo della forma: dove il passato scivola verso il futuro, e dove la metamorfosi diviene elemento base di continuo arricchimento (G. Murialdo2). Il dramma plastico delle figure – avvinte in tensioni, spinte e controspinte, scivolamenti o cadute, corpi e corpi – che era del gruppo, ora è corale, di genti, appunto, in viaggio: popoli in fuga, per mare, su chiatte colme di presenze. I gruppi di prima si compattano ora in schiere, folla brulicante sul circoscritto piano, sospeso in oscillazione leggera sul sottostante, luminoso territorio di terrecotte…. Il territorio dei gruppi bronzei, inclinato, non offriva certezze, ogni figura contratta nella ricerca di un’unità plastica dell’insieme, estrema, superstite solidarietà di un’umanità di nomadi, che ora diviene folla di senza tetto, di disperati affamati… e porta con sé rottami, macerie, residui, lettere di antichi alfabeti, e trova solidarietà nel suo andare su un territorio luminoso e vero, dove nuotano, anch’essi viaggiano, i pesci… Andar per mare…. Ed è certo che l’artista, mediante questa immaginifica simbiosi di tecniche, e di materie diverse, ha trovato la via per accedere ad un’arte che, rispettando le imprescindibili ragioni della forma, esprime la sua risentita partecipazione ai drammi del tempo, senza peraltro rinunciare a quel soffio di contenuta, autentica poesia che ha sempre accompagnato la sua creazione (G. Bruno3).
L’arte di Selim è supportata – oltre che dalla maestria e dalla precisione tecniche – da un interesse per le condizioni apparentemente semplici, eppure tanto complesse dell’esistenza umana. Dipinti e sculture come Pesci (2005), Terra (2004), Vento (2018) o Navigante (2003) testimoniano un’iconologia incentrata su necessità umane fondamentali e paure primordiali, ma anche sul riferimento alla natura quale avversità e consolazione dell’uomo. […] In particolare egli visualizza l’esperienza della sofferenza – sia che si tratti di dolore fisico, di tragico sradicamento e fuga, oppure della crudeltà delle guerre. Al tempo stesso conserva la tensione esistenziale nella bellezza (quindi nella luce) del disegno, nella materialità e nella forma delle sue opere. La sua arte si bilancia sul crinale che sta tra l’inquietante e il glorioso – come se egli nell’atto artistico, nel processo di lavoro, per tutti noi, ma soprattutto per le vittime della storia, potesse dar forma al momento in cui il destino è superato, o avrebbe potuto esser vinto. E sia pur solo per questo che, seduti insieme, come in un rituale arcaico, si tace e si aspetta: Attesa (2008), un’attività che può essere più eroica di qualsiasi conquista, di qualsiasi impresa ardita generatrice di ripetuti disastri (R. Scotti4).
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