La Cappella Mazzatosta è un ambiente religioso rinascimentale nella chiesa di Santa Maria della Verità a Viterbo, affrescato nel 1469 da Lorenzo da Viterbo e considerata una delle più significative opere rinascimentali della Tuscia.
La cappella venne commissionata da Nardo Mazzatosta, notabile viterbese definito nelle cronache del tempo anche come arbiter elegatiarum, e affidata nella decorazione pittorica alla bottega del giovane pittore locale Lorenzo da Viterbo, che la completò nel 1469[1].
L'ambiente subì poche trasformazioni nei secoli, finché, nel 1944, non venne centrato da un bombardamento, che distrusse le pitture, mettendo però in moto un miracoloso restauro diretto dall'Istituto Centrale per il Restauro di Roma, applicando per la prima volta le teorie innovative di Cesare Brandi (tra cui quella del rigatino). Ventitremila frammenti vennero recuperati e ricostruiti in situ, applicandoli a sostegni in tela, e ricollocati entro il 1960. Lo straordinario esito del restauro fece scrivere a Guido Piovene che "mai si sia visto un salvataggio parziale così prodigioso"[2].
La cappella è a pianta quadrata, introdotta da uin grande arco a tutto sesto e coperta da volte costolonate, di gusto ancora tardogotico.
Originali sono la cancellata e parte del pavimento maiolicato, realizzato dal viterbese Paolo di Nicola, alcuni frammenti del quale sono esposti al Victoria and Albert Museum di Londra.
L'altare presenta una venerata Madonna delle Grazie (di autore locale del 1412) ed è decorato da un ciborio marmoreo di Isaia da Pisa con rilievo dell'Assunzione della Vergine, opera leggermente più tarda, legata alla committenza della famiglia Primoni, che subentrò ai Mezzatosta.
Gli affreschi si dispiegano nel sottarco, sulle volte e sulle pareti. Nel primo si trovano sei messe figure di profeti e due santi a figura piena.
Nelle vele della volta si trovano i quattro evangelisti, sormontati dal proprio simbolo e da un profeta, e affiancati da un dottore della chiesa e da un eminente teologo (Beda, Pier Damiani, Giovanni Crisostomo o Bernardo da Chiaravalle). Nella figura di Gregorio Magno è ritratto papa Paolo II.
Sulle pareti sono rappresentate l'Annunciazione (perduta è però la figura della Vergine), l'Adorazione del Bambino, l'Assunzione, la Presentazione di Maria al tempio (con un'accurata costruzione prospettica degli edifici dello sfondo), e soprattutto lo Sposalizio della Vergine. Quest'ultimo affresco, sulla parete sinistra, è il migliore della serie, a cui è in larga parte legata la fama del luogo e dell'autore. La scena è ambientata nella Viterbo dell'epoca, con molti ritratti di personalità del tempo, tra cui il committente (in prima fila, di profilo con un berretto), il cronista Nicolò della Tuccia (vestito di rosso dietro la donna in nero) e lo stesso pittore (la figura a mani giunte). La scena alludeva infatti alla pacificazione cittadina tra le famiglie Gatti e Maganzesi, già a capo delle fazioni guelfa e ghibellina.
Lo stile degli affreschi dimostra la conoscenza approfondita dei migliori raggiungimenti coevi del rinascimento dell'Italia centro-settentrionale: la profonda indagine ritrattistica, ispirata all'esempio di Benozzo Gozzoli (autore di un perduto ciclo di affreschi in città), anticipa i migliori raggiungimenti del Ghirlandaio; la resa prospettica, sicura e luminosa, dimostra l'assimilazione dei principî pierfrancescani (presumibilmente dai perduti affreschi in Vaticano), e la complessa orchestrazione degli scorci e dei gruppi dei personaggi ricorda le opere coeve del Mantegna.
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