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La tarsia Giuditta fa parte delle tarsie del coro della basilica di santa Maria Maggiore. È collocata sullo stallo posto sulla parte destra dell'accesso al presbiterio e visibile dai fedeli perché, con altre tre, rivolta verso la navata centrale. La tarsia è composta dalla parte raffigurativa del racconto biblico di Giuditta e Oloferne e da un coperto che deve proteggerla dall'usura del tempo e che veniva rimosso durante le funzioni religiose più importanti. Per la sua intensa rappresentazione è una delle più conosciute tra quelle disegnate da Lorenzo Lotto ed eseguite dal Capoferri.

«i presidenti del Consortio de la Misericordia da Bergamo [...] per una parte, et m.ro Lorenzo Lotto da Venetia pentore per l'altra»

(Francesca Cortesi Bosco)
Giuditta
Giuditta
AutoriLorenzo Lotto e Giovan Francesco Capoferri
Data1529
Materialelegno
Dimensioni68×100,3 cm
UbicazioneBasilica di Santa Maria Maggiore (Bergamo), Bergamo

Storia


Il 12 marzo 1524 fu affidata a Lorenzo Lotto la realizzazione dei disegni per le tarsie del coro della basilica mariana, dalla congregazione della Misericordia Maggiore, che la amministrava, e che aveva deciso di completare il presbiterio con la formazione del coro[1], anche se la realizzazione ebbe un percorso piuttosto complesso[2].
Il progetto architetonico fu affidato a Bernardo Zenale e l'intarsio al giovane Giovan Francesco Capoferri che aveva lavorato alle tarsie del coro della chiesa di santo Stefano realizzate con Fra Damiano Zambelli[3]. Il Capoferri fu coadiuvato dal falegname Giovanni Belli di Ponteranica.
Le tarsie erano correlate da un coperto che doveva proteggerle, ma che con i disegni del Lotto divennero un elaborato e profondo messaggio da comprendere[4]. Le tarsie, furono realizzate con la tecnica mista, che richiedeva l'uso di tasselli di legni differenti. Venivano successivamente dipinte e profilate per esaltarne il colore[5]. La tarsia fu profilata da Ludovico da Mantova[6].
Il disegno del Lotto venne eseguito tra il 1527 e il 1528, e la realizzazione nel 1531, anno in cui venne deciso l'ampliamento del coro con l'aggiunta di ulteriori banchi su progetto di Marcantonio, figlio del più famoso Pietro Isabello[7].


Descrizione



Tarsia


L'intarsio, tratto dal Libro di Giuditta, racconta la notte in cui Giuditta uccise decapitando Oloferne. La città di Betulia era assediata dall'esercito assiro comandato da Oloferne, città che gli israeliti ritenevano inespugnabile grazie alla sua posizione tra i monti[8]. Giuditta era una bella giovane che rimasta vedova viveva in castità

« [...] perché molto temeva Dio non vi era chi dicesse una mala parola di essa »   ( Giuditta 8, su laparola.net.)

infiltratasi nell'accampamento nemico dichiarandosi traditrice del suo popolo, venne accolta nella tenda dal comandante assiro Oloferne. Quando i fumi dell'alcol lo ebbero addormentato, la giovane gli recise il capo consegnandolo alla sua ancella. La tarsia è molto scenica e dettagliata[8].

Sulla parte sinistra del pannello si vede la città torrita racchiusa entro le mura, la grande chiesa centrale indica la sua connotazione cristiana. Il cielo dalle striature dorate, il solo delle tarsie lottesche, è la rappresentazione esegetica della chiesa combattuta dai persecutori. Centrale la scena di Giuditta che regge nella sinistra la testa decapitata del comandante assiro di cui si vedono i piedi all'interno del tendone, e nella destra la spada insanguinata. Raffinata la raffigurazione di Giuditta dall'espressione serena che indossa abiti Cinquecenteschi, l'ampia gonna è raccolta sui fianchi, e sulla testa è ornata dalla mitra indice di fortezza e di castità.

« [...]si scompartì i capelli e si pose in testa la mitra »   ( Giuditta 10,3, su laparola.net.)

Il Capoferri riuscì con grande abilità attraverso l'uso degli anelli stagionali del legno di acero a dare risalto al tessuto in seta del vestito[8].

A destra la scena è completamente differente, una incongrafia unica che raffigura la cruda fisicitò dell'umano. Mentre l'esercito giace addormentato, tre soldati, rivolti verso la città, in segno di disprezzo verso la chiesa, urinano e defecano. La volgarità dell'atto non era mai stata raffigurata in altre opere d'arte, voleva alludere all'occupazione romana da parte dei lanzichenecchi avvenuta il medesimo anno, con i conseguenti atti sacrileghi nelle chiese romane.

Sopra il padignone assiro vi è la luna che rischiara e illumina, ma che lascia tante striature d'ombra; è la mezzaluna turca, simbolo dei miscredenti, mentre Giuditta è simbolo della chiesa militante messa a difesa dei tiranni[8].

Coperto della tarsia Giuditta
Coperto della tarsia Giuditta

Coperto


Il coperto, che aveva l'uso di protezione della tarsia, ma che il Lotto aveva trasformato in un messaggio di riflessione, ha una raffigurazione trionfale, il bene rappresentato da Giuditta, è raffigurato attraverso la mitra svolazzante posta centralmente del pannello con appeso un cartiglio riportante la scritta Vedutatis Gloria. La grande corona a indicare il bene vittorioso sul male.
Lateralmente, appese a nastri, la testa di Oloferne simbolo della tentazione del demonio e a sinistra la spada dell'affermazione del bene. I due rami di palma alludono alla vittoria segno della volontà divina[9].


Note


  1. Francesca Cortesi Bosco, Registri biografici - Patti, mercati, bollettini, polizze, mandati e ricevute, II, 1987.
  2. Lorenzo Lotto e Giovanni Francesco Capoferri, su 1995-2015.undo.net, Un do net. URL consultato il 10 maggio 2018.
  3. Francesco Capoferri traduttore in legno di Lorenzo Lotto, su laboratorioberetti.eu, LabB. URL consultato il 10 maggio 2018 (archiviato dall'url originale l'11 maggio 2018).
  4. Loiri Locatelli, p 15.
  5. Le tarsie del coro di santa Maria Maggiore, su craftyform.com, craftyform. URL consultato il 10 maggio 2018 (archiviato dall'url originale l'11 maggio 2018).
  6. Giuditta e la sua ancella mettono la testa di Oloferne in un sacco, su lombardiabeniculturali.it, Lomnbardia Beni culturali. URL consultato il 10 maggio 2018.
  7. Giuditta e la sua ancella, su lombardiabeniculturali.it, Lombardia Beni Culturali. URL consultato il 10 maggio 2018.
  8. Loiri Locatelli, p 20-21.
  9. Liori Locatelli, p 22.

Bibliografia



Voci correlate


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