La sacrestia di Solimena è una sacrestia della basilica di San Paolo Maggiore a Napoli.
Voce principale: Basilica di San Paolo Maggiore.
Interamente affrescata da Francesco Solimena verso la fine del Seicento con Angeli, Allegorie, Virtù e la Caduta di San Paolo e di Simon Mago sulle grandi pareti frontali, rappresenta una delle principali opere espressive dell'autore napoletano.[1]
I lavori in sacrestia sono eseguiti secondo i più tipici canoni del barocco napoletano con gli affreschi compiuti in fase di piena maturità artistica del Solimena, caratterizzati da incorniciature decorate con motivi fitomorfi e floreali, attraverso stucco e dorature di Lorenzo Vaccaro, elementi questi eseguiti appena due anni prima del ciclo di affreschi.
Le opere del Solimena sono: sulle pareti di fondo, due grandi scene firmate e datate, raffiguranti La Caduta di Simon Mago, del 1690, e la Caduta di San Paolo, del 1689. Nella volta e nelle centine laterali, sono mostrate invece le Allegorie delle Virtù, mentre in posizione bassa e ruotante intorno al ciclo di affreschi, infine, vi sono dei medaglioni contenenti i ritratti dei quattro fondatori dell'ordine dei Teatini: San Gaetano, Paolo IV, Bonifacio da Colli e Paolo Consiglieri.
La storia costruttiva della sacrestia non è del tutto nota. Per certo si sa che essa è stata caratterizzata da numerose ridefinizioni degli spazi architettonici dovute al continuo adattamento con gli edifici circostanti, i quali alteravano l'ambiente basilicale. Per questi motivi, si resero necessari diversi restauri avvenuti durante gli anni settanta del XX secolo, soprattutto per quel che riguarda la parete su cui è affrescata la Caduta di Simon Mago, in quanto maggiormente esposta ai rischi esterni.[2]
Oltre al ciclo di affreschi, è presente nella sala anche mobilia di fine Seicento,[1] con un armadio circolare che ruota intorno alle pareti. Quello frontale, in origine ospitava un orologio in tartaruga ornato da finiture bronzee e da un piccolo dipinto raffigurante la Natività di scuola giordanesca; il pezzo d'epoca (risalente al 1678 e firmato da Lorenzo Shaiter)[1] è custodito in altri ambienti del complesso e per motivi di sicurezza non è visibile al pubblico. Si tratta comunque di uno dei più pregevoli oggetti mai realizzati nel Seicento.
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