Teseo e il Minotauro è un'opera scultorea realizzata da Antonio Canova tra il 1781 e il 1783 ed esposta nel Victoria and Albert Museum di Londra.
Teseo e il Minotauro | |
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Autore | Antonio Canova |
Data | 1781-1783 |
Materiale | Marmo bianco |
Dimensioni | 145,4×158,7×91,4 cm |
Ubicazione | Victoria and Albert Museum, Londra |
Il soggetto mitologico è tratto dalle Metamorfosi del poeta latino Ovidio. Nell'antica leggenda viene narrata la storia di Teseo, l'eroe greco che con l'aiuto di Arianna riuscì a penetrare nel labirinto di Cnosso e a uccidere il Minotauro, una mostruosa creatura con la testa di toro e il corpo di uomo. Quest'episodio si prestava a diverse traduzioni nel marmo: uno scultore barocco come Gian Lorenzo Bernini, per esempio, avrebbe scelto di raffigurare il momento cruento del combattimento, realizzando un gruppo ricco di dinamismo. Canova, mostrandosi intimamente vicino alla poetica neoclassica, scelse invece di immortalare nel marmo il momento immediatamente successivo alla conclusione del conflitto. Nell'opera, infatti, Teseo è rappresentato dopo la lotta, mentre si siede sul mostro che ha appena ucciso, come un cacciatore su una preda: il Minotauro, a sua volta, si trova su una roccia in una posizione a «S» rovesciata.[1] Dal punto di vista allegorico, l'intera opera allude alla vittoria della ragione sull'irrazionalità (tipica delle bestie), in piena armonia con la temperie illuminista.[2]
Teseo è raffigurato mentre è pervaso da una grande sensazione di pace e tranquillità, perfino di stanchezza, come si evince dal corpo né teso né contratto: il suo atteggiamento è completamente diverso da quello che aveva prima, quando era acceso dalla rabbia e dalla furia per uccidere il Minotauro. L'eroe, addirittura, ora guarda il mostro sconfitto con pietà, siccome la nobiltà del suo animo gli impedisce di provare odio o risentimento verso il nemico. L'intero gruppo, insomma, trasmette una sensazione di quiete fisica e spirituale, rispondendo perfettamente a quella «nobile semplicità e quieta grandezza» che Winckelmann riteneva essere le caratteristiche peculiari dell'arte ellenistica, alla quale l'opera si rifà esplicitamente specialmente nelle forme anatomiche del Teseo.
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