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Il Museo civico di Modena è il principale istituto museale comunale della città di Modena. Fondato nel 1871, il Museo ha sede nei locali di Palazzo dei Musei in Piazza Sant'Agostino. Conserva e valorizza raccolte di archeologia, etnologia, arte e artigianato artistico, oltre a coordinare le attività e la valorizzazione di altre realtà culturali del territorio modenese.

Museo civico di Modena
Ubicazione
Stato Italia
LocalitàModena
IndirizzoLargo Porta S.Agostino, 337
Coordinate44°38′53.81″N 10°55′15.64″E
Caratteristiche
TipoArcheologia, Etnologia, Arte, Artigianato
Periodo storico collezioniPaleolitico - Età contemporanea
Istituzione1871
FondatoriCarlo Boni
GestioneComune di Modena
Visitatori14 169 (2020)
Sito web

Storia del Museo



La fondazione


Carlo Boni, fondatore e primo direttore del Museo civico di Modena
Carlo Boni, fondatore e primo direttore del Museo civico di Modena
La Sala Archeologia del Museo alla fine del XIX sec. nella sede definitiva di Palazzo dei Musei
La Sala Archeologia del Museo alla fine del XIX sec. nella sede definitiva di Palazzo dei Musei

Il Museo civico di Modena nasce nel 1871, inizialmente ospitato in due sale del Palazzo comunale, per trasferirsi subito dopo (1872) nel vicino convento di San Bartolomeo. Fin dall'inizio appare ben definito il carattere composito e variegato del Museo. Ma nonostante l'eterogeneità, il suo fondatore e primo direttore, Carlo Boni, progettò il Museo sulla base di un disegno organico, pensato per “accogliere e conservare tutto quanto potesse interessare l’intera popolazione”.

Nato per conservare ed esporre i reperti dell'età del bronzo provenienti dalle terramare[1], la cui scoperta fornì un contributo fondamentale alla definizione della preistoria come disciplina scientifica, il Museo civico affianca ben presto all’originaria vocazione archeologica quella industriale, in stretto rapporto con il tessuto produttivo della città. Tuttavia lo sviluppo di una collezione tecnico-industriale viene ostacolato dalla penuria di mezzi e di spazi. Emerge inoltre anche la predisposizione didattica dell'istituto, grazie al rapporto con il mondo delle grandi esposizioni internazionali e dei nascenti musei europei di arti decorative: confluiscono così tra le raccolte museali i repertori di tecniche, forme e modelli delle più svariate tipologie di materiali.[2]

A partire dalla metà degli anni ’70 del XIX secolo, si costituiscono anche una sezione etnologica, che riunisce materiali provenienti da viaggi in terre lontane, ritenuti utili a fornire confronti per la comprensione delle società del passato[3], e una sezione artistica. Quest’ultima documenta da un lato la cultura artistica locale dei secoli passati, in parte invece testimonia l’arte contemporanea ai primi decenni di vita del Museo, attraverso le opere scultoree e i dipinti prodotti nell’ambito del Concorso e pensionato Poletti, istituito nel 1870 dal Comune di Modena in ottemperanza alle volontà testamentarie dell’architetto Luigi Poletti.[4]


Il trasferimento nel Palazzo dei Musei


Mattone semicircolare con impronta di piedi di bambino, I sec. a.C. – I sec. d.C.
Mattone semicircolare con impronta di piedi di bambino, I sec. a.C. – I sec. d.C.
Spinetta pentagonale, XVI-XVII sec., collezione Valdrighi
Spinetta pentagonale, XVI-XVII sec., collezione Valdrighi

Cresciuto rapidamente grazie al contributo dei cittadini, tra i quali va ricordato il marchese Giuseppe Campori, il Museo trova la sua sede definitiva nel 1886 all'interno del Palazzo dei Musei, nel quale vengono riuniti anche gli altri istituti culturali cittadini, grazie ad una lungimirante operazione culturale condotta dal Comune di Modena e della quale il direttore del Museo Carlo Boni risulta essere uno degli attori principali.[5]

Nel 1894 a Boni succede Arsenio Crespellani, che aveva donato al Museo gran parte delle sue ricchissime collezioni archeologiche già nel 1879. Sotto la sua direzione si registrano ulteriori estensioni del patrimonio e cresce l’attenzione al contesto territoriale, sia per quanto riguarda le raccolte archeologiche, esposte secondo criteri cronologici e topografici, che per la documentazione dei monumenti medievali del territorio, implementata attraverso calchi e frammenti lapidei. Resta tuttavia largamente irrisolta la situazione delle raccolte d’arte, arricchitesi nel frattempo grazie all’acquisizione di importanti collezioni donate in buona parte da membri dell’aristocrazia cittadina, quali gli antichi strumenti musicali del conte Luigi Francesco Valdrighi e le armi del marchese Paolo Coccapani Imperiali.

In questa fase comunque acquistano dignità autonoma sia il nucleo in continua crescita delle opere legate al Concorso Poletti, per le quali viene creata al piano terra del Palazzo la Galleria Poletti (1893), sia le raccolte che documentano gli anni risorgimentali, che vanno a costituire il Museo del Risorgimento (1896).


Il riordino Gandini e la fortuna delle raccolte artistiche


Nominato direttore del Museo nel 1900, Luigi Alberto Gandini, subito ne promuove il riordino. Il nuovo allestimento costituisce di fatto il primo progetto organico di ordinamento delle raccolte artistiche, avviando una fase di sostanziale disinteresse per le raccolte archeologiche ed etnologiche. Inoltre Gandini aveva anche donato all’istituto, negli anni Ottanta dell'Ottocento, la sua ricchissima collezione tessile, progettandone l’allestimento nella sala che tuttora la ospita e che costituisce un esempio altamente significativo di museografia ottocentesca.

La Sala Gandini con le sue caratteristiche vetrine ottocentesche
La Sala Gandini con le sue caratteristiche vetrine ottocentesche

Il riordino di Gandini è improntato a rigore scientifico e si avvale della consulenza di esperti dei diversi ambiti artistici, quali Gaetano Milanesi (l’editore delle Vite vasariane), Corrado Ricci e Adolfo Venturi.[6] Ogni sala riceve una destinazione precisa ed acquista quel caratteristico sapore di spazio arredato che ancora oggi è preservato e valorizzato.

Lo sviluppo delle raccolte artistiche, in particolare della pittura, continua e si intensifica nel ventennio della direzione di Matteo Campori (1913-1933) che pochi anni prima aveva donato al Comune di Modena la propria collezione di dipinti di epoca barocca, insieme al palazzo di famiglia che la ospitava. A lui va il merito di avere acquisito per il Museo numerosi importanti dipinti di pittori modenesi del XVI e XVII secolo e di avere creato una sala dedicata al principale pittore modenese dell’Ottocento, Adeodato Malatesta.[7]

Adeodato Malatesta, Ritratto dell'avvocato Nicola Spinelli con la consorte marchesa Eloisa Bellincini Bagnesi, XIX sec.
Adeodato Malatesta, Ritratto dell'avvocato Nicola Spinelli con la consorte marchesa Eloisa Bellincini Bagnesi, XIX sec.

Il Museo civico si sdoppia


Nei decenni seguenti la reazione al Positivismo di fine secolo e l’idealismo degli inizi del Novecento rendono via via più indecifrabili i percorsi del Museo, mentre sporadiche operazioni di svecchiamento tentano invano di sfoltire l’assetto espositivo. Agli inizi degli anni Sessanta del Novecento, in particolare, il risveglio dell’interesse per il Museo da parte dell’amministrazione comunale, che ne promuove il ruolo sociale ed educativo, determina lo sdoppiamento dell’istituto in Museo archeologico etnologico e Museo d’arte medievale e moderna e alla nomina di due direttori (1962). Il percorso espositivo rimane unico, ma è oggetto di una drastica riduzione delle opere esposte, selezionate sulla base di criteri estetici e didattici, mentre la sezione etnologica viene addirittura chiusa al pubblico e le sale destinate a laboratori scolastici.[8]


Il riordino degli anni Ottanta del Novecento


Il logo in uso fino al 2020
Il nuovo logo del Museo

Il successivo riordino delle raccolte condotto tra 1986 e 1990 ha invece valorizzato l’origine ottocentesca del museo, riproponendo nella sostanza i criteri espositivi che avevano guidato l’operato dei primi direttori. Sono stati così recuperati quei criteri di esposizione seriale che consentono di evidenziare la ricchezza e varietà del patrimonio museale: per le raccolte archeologiche l’ordinamento cronologico e topografico; per quelle artistiche i criteri di rappresentatività a livello artistico-industriale. Le sale dell’etnografia sono state riaperte al pubblico con un percorso aggiornato sulle collezioni, esposte per nuclei geografici.

L’attuale assetto espositivo del museo, inaugurato nel 1990, mantiene sostanzialmente intatti gli arredi del XIX secolo, caratterizzati dalle grandi vetrine in legno scuro che rivestono le pareti degli ambienti, e recupera così una testimonianza museografica di assoluto rilievo nel panorama italiano ed europeo.


Il 150º anniversario e il ritorno al museo unico


Il percorso di riflessione sulla storiae sulle origini del Museo, che ha accompagnato l’importante ricorrenza del 150° dalla fondazione, ha condotto ad una riunificazione dell’istituto, che si presenta al pubblico con un nuovo marchio (i cui rettangoli sovrapposti richiamano le vetrine ottocentesche), un nuovo sistema di identità visiva e un percorso di più immediata fruizione. Nello stesso tempo, i lavori di riqualificazione dell’intero complesso in cui il museo ha sede, avviati grazie ai finanziamenti del Cantiere Ducato Estense promosso dal Ministero Beni Culturali, consentono finalmente di avviare la progettazione della futura espansione, che consentirà di valorizzare un patrimonio che continua a crescere.


La sede


Il Palazzo dei Musei in Piazza Sant'Agostino
Il Palazzo dei Musei in Piazza Sant'Agostino

Il Palazzo dei Musei in Piazza Sant'Agostino, attuale sede del Museo, fu costruito nel 1764 dall'architetto ducale Pietro Termanini, che intervenne sul preesistente Arsenale ducale e sull’attiguo monastero agostiniano. Il vasto complesso, nato come Grande Albergo dei Poveri, fu costruito su richiesta del duca Francesco III d'Este, che desiderava un luogo in cui accogliere le Opere Pie della città di Modena.

Tale operazione rientra in una più ampia politica di riforma sociale e di rinnovamento urbanistico di cui gli Estensi si erano fatti promotori per far fronte ai numerosi problemi di ordine pubblico e di risanamento della città, nell’ambito del dispotismo illuminato della seconda metà del Settecento. Per le stesse ragioni nel 1753 era stato costruito il Grande Ospedale affacciato sulla medesima piazza.

Il primo nucleo dell'Albergo dei Poveri fu ricavato negli spazi liberati dell'Arsenale estense a cui seguirono quelli del Convento degli Agostiniani e della chiesa annessa. Le finalità della nuova costruzione, conclusasi nel 1771, erano sia assistenziali che educative, dato che al suo interno si provvedeva sia al sostentamento dei diseredati che al loro impiego.

Veduta della Sala Gandini del Museo Civico di Modena nel 1886
Veduta della Sala Gandini del Museo Civico di Modena nel 1886

Nel 1788 il Duca Ercole III d'Este trasformò il complesso in Albergo delle Arti, accogliendovi l'insegnamento di attività prossime alla scomparsa tra cui la lavorazione delle stoffe. Col passare degli anni l'edificio visse stagioni di cambiamenti e trasformazioni: in seguito all'arrivo delle truppe napoleoniche i sussidi agli indigenti che vi lavoravano furono sospesi, poi il palazzo fu destinato a luogo di residenza militare per gli ufficiali estensi, quindi nel 1817 il complesso passò alla Congregazione di Carità, che vi collocò il Monte dei pegni e l'Ospizio di Mendicità.

Dopo l'Unità d'Italia, la volontà di riunire i diversi istituti culturali cittadini, sia statali che comunali, spinse il Comune di Modena ad acquistare la parte del complesso prospicente Piazza Sant’Agostino per collocarvi la Biblioteca Civica d'Arte Poletti, l'Archivio storico comunale, il Museo civico, la Galleria Estense e la Biblioteca Estense.


Le raccolte principali


Spada del guerriero celta, rinvenuta nel 1883 da Arsenio Crespellani
Spada del guerriero celta, rinvenuta nel 1883 da Arsenio Crespellani

L’eterogeneità che caratterizza il Museo - con le sue raccolte di archeologia, etnologia, arte e artigianato artistico, ma anche scienze, manifatture, tessuti, strumenti musicali - è il risultato di un progetto articolato che il suo fondatore Carlo Boni aveva delineato fin dai primi anni di vita dell’istituto. I direttori successivi, Crespellani e Gandini, continuarono l’opera svolta da Boni operando anche importanti estensioni del patrimonio. Il museo acquisì così una fisionomia ben definita, che rifletteva le scelte dei suoi direttori e più in generale il clima di un’epoca.

Ubaldo Oppi, Donna con abito rosso, 1913
Ubaldo Oppi, Donna con abito rosso, 1913

Il Museo ha continuato nel corso della sua storia a crescere e ad arricchirsi di nuovi reperti e opere d'arte, grazie agli scavi condotti sul territorio e grazie al legame che l'istituto ha continuato a rinnovare nel tempo con la comunità cittadina: è stato così possibile dare rifugio ad opere che rischiavano la dispersione e sono circa 1.600 le donazioni giunte in Museo tra il 1871 e il 2020.

Tra le missioni del Museo vi sono la tutela, lo studio e la valorizzazione del patrimonio culturale cittadino attraverso numerose attività di conservazione, ricerca e sperimentazione, documentazione, divulgazione scientifica e didattica, e tramite l'organizzazione di eventi e mostre temporanee ideate per i diversi pubblici.

Il Museo è anche coinvolto in progetti condotti in partecipazione con la comunità scientifica, con le istituzioni, con aziende private e con i cittadini, e che si svolgono in ambito locale, nazionale e internazionale. Questa ampia rete di collaborazioni ha permesso negli anni di riscoprire alcune raccolte invisibili al pubblico, poiché conservate nei depositi, applicando allo studio di esse un approccio interdisciplinare e le più moderne tecniche diagnostiche.[9][10]


Il percorso di visita


Piletta Wiligelmica, marmo, prima metà XII sec.
Piletta Wiligelmica, marmo, prima metà XII sec.
Manifattura italiana, Serpentone, fine XVIII sec.
Manifattura italiana, Serpentone, fine XVIII sec.
Bottega di Antonio Salviati, Bicchiere a calice in vetro girasol, 1867-1878, Venezia
Bottega di Antonio Salviati, Bicchiere a calice in vetro "girasol", 1867-1878, Venezia
Urna cineraria dalla Necropoli di Casinalbo, età del bronzo medio
Urna cineraria dalla Necropoli di Casinalbo, età del bronzo medio
Letto tricliniare da una domus di Mutina, I sec. a.C.
Letto tricliniare da una domus di Mutina, I sec. a.C.
Mummia femminile, necropoli di Ancon, XV-XVI sec.
Mummia femminile, necropoli di Ancon, XV-XVI sec.
Ornamento per il capo, indios Yanomami
Ornamento per il capo, indios Yanomami
Francesco Stringa, Testa di fanciulla con turbante, 1635-1709
Francesco Stringa, Testa di fanciulla con turbante, 1635-1709
Elisabetta Sirani, Galatea, 1664
Elisabetta Sirani, Galatea, 1664
Il Lapidario Romano nel cortile del Palazzo dei Musei
Il Lapidario Romano nel cortile del Palazzo dei Musei
La Gipsoteca Giuseppe Graziosi
La Gipsoteca "Giuseppe Graziosi"

Il Museo civico nel territorio


Altre realtà presenti nel centro e alle porte della città di Modena afferiscono al Museo, che ne gestisce e coordina le attività e la valorizzazione, anche in collaborazione con altri istituti:


Note


  1. Bernabò Brea et al. 1997.
  2. Enrica Pagella, Musei e collezioni nella Modena di fine Ottocento, in Pagella 1992, pp. 45-60.
  3. Andrea Cardarelli e Ilaria Pulini, Il metodo comparativo e l’origine dei musei preistorico-etnografici, in Dialoghi di Archeologia, III, IV (1), 1985, pp. 71-89.
  4. Tomas Fiorini, Il Pensionato Poletti di pittura. La cultura modenese tra Accademia e mercato, in Fiorini et al. 2013, pp. 49-53.
  5. Cardarelli 1999.
  6. Francesca Piccinini, Riordinando l’archivio di lavoro: note su Gandini collezionista, studioso di storia del costume e direttore del Museo Civico di Modena, in Bonacini - Piccinini 2003, pp. 68-72.
  7. Maria Canova e Enrica Pagella, I dipinti antichi del Museo Civico di Modena. Cronache di una raccolta, in Benati 2005, pp. 15-26.
  8. Francesca Piccinini, La città contemporanea riscopre la città sepolta, in Mutina splendidissima 2017, pp. 622-631.
  9. Cristiana Zanasi (a cura di), Storie d'Egitto: la riscoperta della raccolta egiziana del Museo Civico di Modena, Sesto Fiorentino, All'Insegna del Giglio, 2019.
  10. Marta Arzarello e Cristiana Zanasi (a cura di), Primordi: la riscoperta della raccolta del Paleolitico francese del Museo civico di Modena, Firenze, All'insegna del giglio, 2021.
  11. Gani 1993.
  12. Canova 1993.
  13. Boccia 1997.
  14. Probst 1993.
  15. Schoenholzer - Silvestri 2002.
  16. Visita virtuale alla Sala Gandini, su google.it.
  17. Desrosiers - Pulini 1992.
  18. Pulini - Dall'Olio 2005.
  19. Cardarelli - Giordani 2002.
  20. Visita virtuale al Lapidario Romano, su google.it.
  21. Piccinini - Canova 2007.
  22. Visita virtuale alla Gipsoteca Graziosi, su google.it.

Bibliografia



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