Francesco Prata da Caravaggio (Caravaggio, 1485 – metà XVI secolo) è stato un pittore italiano.
La biografia del pittore è poco nota nei dettagli, a partire da dove egli si sia formato. Nel 1510 ottiene l'atto di emancipazione dal comune di Caravaggio, che gli consente di abbandonare la terra patria e dirigersi verso Brescia, dove soggiorna a lungo, pur mantenendo una certa mobilità tra le due città. Sono forse da ipotizzare anche un viaggio a Cremona e uno a Padova[1].
Dal 1520 in poi prosegue l'alternanza tra Brescia e Caravaggio, facendo registrare l'ultima presenza a Brescia nel 1527. Non si hanno in seguito più notizie circa la morte del pittore o altri viaggi compiuti[1].
Dal linguaggio espresso nelle poche opere note (solamente cinque documentate) è innegabile una profonda vicinanza con lo stile del Romanino, benché non si abbia modo di risalire a come, dove e quando il Prata abbia avuto modo di lavorare a fianco del maestro tanto da apprenderne la maniera così dettagliatamente[1][2].
La prima opera a lui attribuita dal punto di vista cronologico è la Pala Sabauda nella Galleria Sabauda di Torino, di provenienza bresciana, databile al 1511. Posteriori sono alcuni affreschi frammentari a Cremona a lui riconducibili, città nella quale potrebbe essersi recato a causa del sacco di Brescia del 1512. Segue forse un viaggio a Padova, nel 1513-14, dove ha modo di studiare la Pala di Santa Giustina del Romanino in corso d'opera[1].
Attorno al 1515 sono databili inoltre la Deposizione nella parrocchiale di Manerbio e la Visitazione all'altare di san Girolamo nella chiesa di San Francesco d'Assisi a Brescia. Nella stessa chiesa, è databile al 1518-20 la pala firmata "FRANCISCI/ DE PRATO/ CARAAGESIS OPVS" raffigurante lo Sposalizio della Vergine[3]. Al 1519 si pone l'opera forse maggiore, la Pala di Sant'Agata per l'altare maggiore della chiesa di Sant'Agata sempre a Brescia. Al 1524 è databile la Natività nella chiesa di San Michele di Bedulita, che indica chiaramente il ricorso a cartoni del Romanino, mentre precedente dovrebbe collocarsi una Salomé ugualmente tratta da cartoni romaniniani[1].
Sebbene la produzione appaia limitata e il suo operato non abbia mai ottenuto una certa fortuna critica (era sconosciuto a Giovanni Battista Cavalcaselle, che non lo nomina nella sua History of Painting in North Italy del 1912), stupisce come invece, all'epoca, dovette rivestire una personalità artistica di spessore. È registrato tra i partecipanti al Collegio cittadino dei pittori tenutosi a Brescia nel 1517 nella chiesa di San Luca assieme a Moretto, Romanino, Floriano Ferramola e altri e in più d'un atto notarile è espressamente nominato "pictore". Le opere che ha lasciato, in ogni caso, consentono di leggere questa personalità, anche solo nella grande capacità di interpretare il Romanino e rielaborarlo mediante aggiunte e modifiche originali, anche dal punto di vista luministico, con un risultato che va molto oltre la pura e semplice copia[1][2].
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