«No all'architettura della repressione, classicista barocca dialettale. Sì all'architettura della libertà, rischiosa antidolatrica creativa.»
(Bruno Zevi, Zevi su Zevi: architettura come profezia, 1993)
Nasce a Roma nel 1918 da un'agiata famiglia italiana di origine ebraica[1], consegue la maturità classica al Liceo Tasso[2], dove ha per compagni di classe Paolo Alatri e Mario Alicata. Nel 1938, a seguito delle leggi razziali, lascia l'Italia per Londra prima e poi per gli Stati Uniti. Si laurea in architettura nel 1942 alla Graduate School of Design della Harvard University, in quel momento diretta da Walter Gropius.
Frank Lloyd Wright e Bruno Zevi a Venezia nel 1951
Il 26 dicembre 1940 si sposa con Tullia Calabi. Rientra in Europa, a Londra, nel 1943; nel 1944 è di nuovo in Italia, dove fonda l'Associazione per l'architettura organica (Apao) e l'anno successivo la rivista Metron, pur mantenendo i contatti accademici più stretti con la comunità accademica angloamericana.
Dal 1948 insegna Storia dell'architettura presso l'Istituto Universitario di Architettura di Venezia e nel 1964 diviene professore ordinario alla Facoltà di Architettura dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza". Attivissimo nel campo della critica architettonica, pubblica nel 1948 Saper vedere l'architettura; dal 1954 al 2000 tiene una rubrica settimanale di architettura su Cronache e poi L'Espresso; nel 1955 fonda la rivista mensile L'architettura. Cronache e storia e poi, con Lina Bo Bardi, il settimanale La Cultura della Vita.
Nel 1959 fu uno dei fondatori a Roma dell'Istituto Nazionale di Architettura (In/Arch), di cui fu un attivo collaboratore negli anni settanta. Fu segretario generale dell'Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) e accademico di San Luca.
Nel 1979 viene eletto presidente emerito del Comitato Internazionale dei Critici di Architettura (CICA). Dopo le decise contestazioni del 1968, dichiara la sua delusione per una mancata riforma e il permanere di un grave stato di degrado culturale nell'Università; nel 1979 lascia gli incarichi accademici. Muore a Roma nel 2000.
Il 28 settembre 2002, in via Nomentana 150, si inaugura la Fondazione "Bruno Zevi".[3]
Università degli Studi di Roma "La Sapienza" e Harvard Graduate School of Design
Sempre impegnato sul fronte politico e dei diritti civili, durante il fascismo Zevi fu membro del movimento clandestino Giustizia e Libertà e diresse i Quaderni Italiani. All'inizio del 1940, dato il clima antiebraico ormai diffusosi in tutta Europa, si trasferì a New York per continuare gli studi universitari e portare avanti la lotta antifascista con Lionello Venturi, Franco Modigliani, Aldo Garosci, Gaetano Salvemini.
Tornato in Italia, militò nel Partito d'Azione, in Unità Popolare, e infine nel Partito Radicale. Negli anni Ottanta, ha fatto parte anche dell'Assemblea nazionale del Partito Socialista Italiano[4], aggiungendosi ai tanti esponenti della sinistra laica che avevano la "doppia tessera" socialista e radicale.
Due giorni dopo l’attentato, nell'ottobre 1982 come consigliere comunale romano pronunciò un forte discorso in Campidoglio contro l'antisemitismo diffuso concludendo: «L’antisemitismo è esistito per duemila anni, non dal 1948, dalla proclamazione dello Stato d’Israele. Non crediamo all’antisionismo filosemita: è una contraddizione in termini».[5]
Dal 1988 al 1999 fu Presidente onorario del Partito Radicale. Deputato dal 1987 al 1992, si dimise dall'incarico di Presidente in segno di protesta per l'adesione dei deputati radicali al Parlamento europeo al gruppo dei non iscritti, in cui sedevano anche gli eletti del Fronte Nazionale di Jean-Marie Le Pen. Nel 1998 fu tra i fondatori del Partito d'Azione Liberalsocialista.
Storia e controstoria dell'architettura in Italia, in I mammut, n.50, Roma, Grandi tascabili economici Newton, 1997, ISBN88-8183-446-4.
Archivio
Il fondo Bruno Zevi[7] è conservato presso la Fondazione Bruno Zevi. Nel 2014 l'archivio Zevi è stato oggetto di un intervento di riordinamento ed inventariazione[8]
«La famiglia Zevi è saldamente integrata alla borghesia romana. Benedetto Zevi, nonno di Bruno, fu un noto chirurgo, suo figlio Guido sposò nel 1911 Ada Bondì, figlia di un attivissimo e agiato commerciante, fondatore degli omonimi Grandi Magazzini Generali di Risparmio Crescenzo Bondì. Venne in questo modo saldata la vocazione dotta della famiglia a quella commerciale, entrambe facilitate dall'agiatezza già accumulata dai Bondì. Guido Zevi non si dedica all'impresa commerciale del suocero, ma intraprende l'attività di ingegnere.
Lavora per il Genio Civile, per il Ministero dei Lavori Pubblici e poi per il Comune di Roma occupandosi delle infrastrutture impiantistiche e di trasporto pubblico". Il padre Guido curò anche il progetto e l'esecuzione di "una serie di edifici che il figlio Bruno giudicherà molti anni dopo come di «nessun [...] rilievo artistico», ricordando come il ruolo professionale del padre fosse affidato alla «sua personalità [...], alla competenza tecnica, alla scrupolosa sorveglianza dei cantieri»".»
Bruno Zevi, su Sistema informativo unificato per le Soprintendenze archivistiche. URL consultato il 22 dicembre 2017 (archiviato il 22 dicembre 2017).
Vincenzo De Meo (a cura di), Inventario dell'archivio Bruno Zevi (PDF), su Sistema informativo unificato per le Soprintendenze archivistiche. URL consultato il 22 dicembre 2017 (archiviato il 22 dicembre 2017).
Bibliografia
Ruggero Lenci. "Zevi, Bruno". Enciclopedia Italiana Treccani, 1995.Parametro titolo vuoto o mancante (aiuto)
Roberto Dulio, Introduzione a Bruno Zevi, in Maestri del Novecento Laterza, Roma-Bari, GLF editori Laterza, 2008, ISBN978-88-420-8716-8.
Claudia Conforti, Le radici del progetto storico di Bruno Zevi, in Roma moderna e Contemporanea, XVII, n.1-2, aprile 2009, pp.237-240, ISSN1122-0244(WC· ACNP).
Antonino Saggio, Arch'it - Coffee Break - Bruno Zevi, su architettura.it, 31 dicembre 2000 (archiviato dall'url originale l'8 febbraio 2001).
Francesco Bello, Bruno Zevi intellettuale di confine. L'esilio e la guerra fredda culturale italiana 1938-1950. Atti del Convegno tenuto a Roma nel 2018, in I libri di Viella, n.334, Roma, Viella, 2019, ISBN978-88-331-3210-5.
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