Il busto del Salvatore (Salvator Mundi) è l'ultima scultura di mano dello scultore barocco Gian Lorenzo Bernini, eseguita nel 1679, quando l'artista aveva ormai ottant'anni, e da lui lasciata in testamento all'amica e committente la regina Cristina di Svezia[1]. Considerato perduto, fu "riscoperto" nel 2001 da Francesco Petrucci, forse il più grande studioso vivente dell'opera del grande maestro[3], l'attribuzione del quale è stata largamente condivisa dalla pressoché totalità degli storici dell'arte[4], ed è attualmente conservato nella basilica di San Sebastiano fuori le mura a Roma.
Busto del Salvatore | |
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Autore | Gian Lorenzo Bernini |
Data | 1679[1] |
Materiale | marmo, diaspro di Sicilia (piedistallo)[2] |
Altezza | 103 cm |
Ubicazione | Basilica di San Sebastiano fuori le mura, Roma |
Lo storico dell'arte Tomaso Montanari, uno dei maggiori studiosi del Bernini, non ritiene però la scultura opera dell'artista[5], preferendogli la versione nel Chrysler Museum di Norfolk.
L'opera, secondo i biografi, fu eseguita negli ultimi anni di vita dell'artista e andò perduta sin dagli inizi del XVIII secolo. Fu notata da Nicodemus Tessin il giovane durante il suo soggiorno romano del 1687-1688 nel palazzo abitato dalla regina Cristina di Svezia; quando la regina morì, nel 1689, lasciò il busto a Innocenzo XI[1]. Nel 1713 è citato in un inventario di Palazzo Odescalchi:
«Un busto di marmo, che rappresenta il Salvatore con una mano, e panneggiamento scolpito dal Bernini; alto palmi di passetto 4 e due terzi, il suo piedistallo è diaspro di Sicilia, alto palmo uno et un quarto, largo di sotto due palmi et un quarto qual busto vien sostenuto con ambo le mani da due angioli, che sono in ginocchio sopra un gran piede il tutto di legno dorato, quali assieme col zoccolo son alti palmi nove di passetto» |
(Rudolf Wittkower - Heinrich Brauer, Die Zeichnungen des Gianlorenzo Bernini, 1931, p. 179, n.1[1]) |
A fine XVIII secolo se ne perdono le tracce.
Si conosce l'esistenza di una copia che fu commissionata a un amico e aspirante biografo del Bernini, Pierre Cureau de la Chambre, conosciuto durante il soggiorno parigino del 1665 dell'artista, abate di Saint Barthélemy a Parigi, chiesa nella quale fu collocata dopo la morte di Bernini. Saint Barthélemy fu distrutta durante la Rivoluzione francese e anche di questa copia si persero le tracce[1].
Un'indicazione attendibile sul busto originale è un disegno preparatorio di Bernini, Studio per il busto del Salvatore, conservato all'Istituto nazionale per la grafica di Roma, nel Fondo Corsini[1][3].
Nel 1972 lo studioso americano Irving Lavin, professore di Storia dell'arte presso l'Institute for Advanced Studies di Princeton, in un saggio apparso sulla rivista Art Bulletin,riferisce della presenza del busto presso il Chrysler Museum di Norfolk. Egli scrive: «un busto in marmo raffigurante il Cristo benedicente che corrisponde così perfettamente alle descrizioni delle fonti e al disegno Corsini che potrebbe essere identificato sia con la copia di Cureau sia con l'originale». Lo studioso ammette una certa goffaggine dell'opera rispetto alle caratteristiche berniniane, definendola «sbagliata», ma ne giustifica i difetti sia con la tarda età dell'artista sia con i problemi al braccio destro che afflissero il Bernini nell'ultimo parte della sua vita. Lavin conclude: «questi elementi, che apparentemente la farebbero escludere, testimoniano l'autenticità della scultura di Norfolk, se consideriamo il soggetto e le particolari circostanze nelle quali il Salvatore è stato creato»[1]. Salvo qualche eccezione, in quel momento l'ipotesi di Lavin fu accolta unanimemente dalla critica[6].
L'anno dopo nel 1973 pare essere individuata anche la copia del busto custodita nella cattedrale di Sées, a Orne in Normandia. Agli inizi degli anni Settanta dunque, si era ragionevolmente certi di aver individuato negli Stati Uniti il Salvator mundi originale, e in Francia la sua copia[6].
In seguito, nel 1999, alcuni critici propongono come originale il busto della Cattedrale di Sées per il quale però, anche se di qualità superiore alla versione del Chrysler Museum, sia il tipo di marmo usato sia le caratteristiche stilistiche indicano un autore di provenienza francese, che ha liberamente interpretato in chiave classica il modello creato da Bernini[3].
Nel 2001 la svolta inaspettata: nel catalogo della mostra su Papa Albani e le arti svoltasi a Urbino e a Roma, c'è la foto di un busto del Salvatore, segnalato nel convento adiacente alla Basilica di San Sebastiano fuori le Mura, attribuito ad un tal Pietro Papaleo palermitano e fino ad allora rimasto sconosciuto agli studiosi. A visitare la mostra e a sfogliare quel catalogo c’è anche lo storico dell'arte Francesco Petrucci che davanti alla bellissima fotografia rimane abbagliato. Il busto è troppo bello per essere stato scolpito da un artista mediocre come Papaleo. Lo studioso racconta: «Combinai per il 7 febbraio del 2002 una visita al convento di San Sebastiano con Fagiolo, che condivise il mio entusiasmo per l’opera, nella quale riconoscemmo subito il sommo capolavoro degno della fama del perduto Salvatore del Bernini»[7].
A rompere gli indugi e ad affermare senza riserve che il busto originale del Bernini era proprio quello del monastero sull’Appia antica è Irving Lavin, nel 2003, sconfessando quanto aveva affermato nel ’72 e declassando a "copia" il Salvator mundi di Norfolk, in Virginia.
La scultura presenta i caratteri stilistici barocchi propri della tarda produzione di Bernini, e corrisponde pienamente alle antiche descrizioni, sia nelle dimensioni (colossali: «mezza figura maggiore del naturale») che nella materia del piedistallo, in diaspro di Sicilia, ed è pertanto da ritenere l'originale cercato da tanto tempo. Sulla provenienza, anche se le notizie sulla Basilica di San Sebastiano dall'Ottocento ad oggi sono molto lacunose, è sicuro che prima del 1960 l'opera si trovava nella sagrestia della Cappella Albani e non nel convento. Una importante traccia su come vi possa essere arrivata è costituita da un inventario di Palazzo Albani a Roma del 1851 circa, che cita un busto del Salvatore che per dimensioni e materia sembra essere quello di Bernini. Le parentele strette tra le famiglie papali romane potrebbero spiegare il passaggio da Palazzo Odescalchi a Palazzo Albani[3]. In questo caso, sarebbero stati gli stessi eredi della famiglia Albani, estintasi nel 1852, a destinare la scultura alla sagrestia della cappella funeraria della famiglia in San Sebastiano fuori le Mura, dove è rimasta fino a quando è stata spostata all'interno del convento[3].
Il 25 gennaio 2019 la fotografa Daniela di Sarra, curatrice della mostra Fratello Sole - Sorella Luna, suggerì che l'autore si sarebbe ispirato al Volto di Gesù rappresentato nella Sindone. L'ipotesi trovò una larga condivisione di pubblico e critica.[8]
Gesù Cristo, il Salvatore, è raffigurato «più grande del naturale» (103 cm) con la mano destra leggermente sollevata, come in atto di benedire. Bernini attribuiva particolare importanza a questo «divino simulacro» che egli chiamava il suo «beniamino», cui dedicò «tutti gli sforzi della sua cristiana pietà e dell'arte medesima»[1]. Dai contemporanei fu considerata un'opera straordinaria degno testamento dell'eccezionale carriera dell'artista[1]. Per Bernini l'opera mancava «di vivacità e tenerezza e delle altre buone qualità dell'operar suo» a causa dell'età avanzata[1].
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