L'Allegoria del trionfo di Venere è un dipinto a olio su tavola (146x116 cm) di Agnolo Bronzino, databile tra il 1540 e il 1545 circa e conservato dal 1860 alla National Gallery di Londra.
Allegoria del trionfo di Venere | |
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Autore | Agnolo Bronzino |
Data | 1540-1545 |
Tecnica | Olio su tavola |
Dimensioni | 146×116 cm |
Ubicazione | National Gallery, Londra |
È considerato uno tra i più raffinati capolavori del primo manierismo italiano.[1]
Il dipinto venne inviato come regalo di Cosimo I de' Medici al re Francesco I di Francia, ed era quindi innanzitutto un oggetto politico: il neonato Ducato di Toscana era in cerca di alleanze strategiche per evitare di venire fagocitato dal grande impero di Carlo V (come era avvenuto per il Ducato di Milano). Per questo cercava di ingraziarsi la Francia inviando preziosi doni come questo mentre, per allearsi con la Spagna, Cosimo I sposò la figlia del viceré di Napoli, Eleonora di Toledo; per ingraziarsi il papato infine consegnò a Pio V Pietro Carnesecchi, un suo amico intimo accusato di eresia, che finì per questo bruciato al rogo.
Nell'Ottocento la sensualità erotica del dipinto destava imbarazzo: per questo il pube di Venere fu coperto da un panno giallo e le natiche di Cupido da un ramo di mirto, tolti solo successivamente durante un restauro novecentesco eseguito con ottimi risultati.
Essendo un quadro prodotto da una élite a beneficio di un'altra élite, il soggetto, suggerito sicuramente da qualche personaggio erudito della corte medicea, è estremamente complesso e dà la possibilità, alla mano di Bronzino, di realizzare uno dei capolavori più famosi del manierismo in auge all'epoca. Lo stile è molto sensuale ma anche freddo, quasi marmoreo, sublimemente idealizzato.
La tela presenta più livelli di lettura. Il soggetto in generale è quasi sicuramente un'allegoria dell'amore sensuale, del sesso. Venere in primo piano (identificata dal pomo d'oro del giudizio di Paride e dalle due colombe in basso), bacia sensualmente il figlio Cupido, il quale, mostrando vistosamente la sua nudità attraverso le natiche, le solletica un capezzolo. Più complessa è l'interpretazione delle figure sul retro. Il putto con i campanelli alla caviglia, che sparge petali di rosa, ben illuminato sulla destra, simboleggia il riflesso più immediato del piacere carnale, la Gioia; ma, al contempo, si è ferito i piedi a causa delle spine. Dietro di esso una fanciulla appena in ombra si presenta con un grazioso volto, ma è una figura molto ambigua: la sua natura ingannatrice è testimoniata dall'inversione della mano destra, che sostiene un aculeo di scorpione, con quella sinistra, che invece sostiene un favo di miele, e dal corpo di serpente con zampe da leone, appena visibile in basso; è infatti l'Inganno; dopotutto anche Venere e Cupido si stanno ingannando a vicenda: lei sta rubando una freccia dalla sua faretra, lui le sta sfilando il diadema di perle. Le stesse maschere da teatro, forse un satiro e una ninfa, presenti in basso a destra sono un simbolo della realtà celata dagli inganni.
Sul lato opposto le due figure grottesche sono la Disperazione e la Follia o la Malattia (in basso), che sono le conseguenze di medio e lungo periodo dell'amore sensuale. Infine un vecchio con le ali e una clessidra in alto a destra scosta un pesante velo che scopre la scena: è il Tempo accompagnato dalla Verità (in alto a sinistra), che svela; infatti l'altro titolo del dipinto, e forse quello più azzeccato, è proprio la Lussuria smascherata.
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