La serie delle Cattedrali di Rouen è formata da 31 dipinti ad olio di Claude Monet realizzati tra il 1892 ed il 1894 e raffiguranti dallo stesso punto di vista il portale della Cattedrale di Rouen; quel che cambia sono le condizioni della luce che si riflette sulla cattedrale di Rouen, in particolare sul suo portale.
Il 1892 fu un anno cruciale per Monet, ma anche per le sorti dell'Impressionismo e della pittura moderna in generale, poiché vide il pittore iniziare il monumentale ciclo delle Cattedrali di Rouen. Rouen era già all'epoca un fiorente centro commerciale ed industriale ubicato nella regione dell'Alta Normandia e dotata di un patrimonio architettonico di tutto rilievo: significativa, in tal senso, risulta la cattedrale, un'imponente costruzione gotica iniziata intorno al 1145 e terminata nel 1250.
Quando Claude Monet si trasferì a Rouen nel 1892 certamente fu affascinato dalla grandiosa mole della cattedrale, che tra l'altro gli doveva risultare già nota in quanto riprodotta in migliaia di fotografie. Egli, tuttavia, non si fermò all'atmosfera deliziosamente cartolinesca evocata dalla costruzione e preferì sfruttarla come un pretesto per indagare le problematiche relative alla luce ed al colore. Fu per questo motivo che, una volta stabilitosi in una stanza all'hôtel de l'Angleterre, a pochi passi dalla Senna, il pittore non perse tempo e subito cercò di fissare le impressioni fuggevolissime e cangianti che scaturivano dall'interazione della luce con le forme gotiche della cattedrale. Tra il 1892 e il 1894 Monet diede vita a trenta Cattedrali di Rouen.
Ma perché realizzare decine e decine di tele tutte incentrate sullo stesso motivo, sullo stesso paradigma artistico? Non bisogna dimenticare che Monet, dopo aver considerato accuratamente la natura fisica dell'occhio e le caratteristiche dell'immagine retinica, voleva trascrivere sulla tela i molteplici fenomeni della luce e del colore, entità che avevano un'assoluta precedenza su forma e racconto. Per far ciò spesso conveniva soffermarsi su un unico soggetto e studiare come questo mutasse il proprio aspetto a seconda dell'ora, del tempo, della stagione, della tensione atmosferica. Monet, in questo modo, non era affatto interessato alla pur grandiosa struttura architettonica della cattedrale: il suo obiettivo piuttosto era quello di dimostrare come un unico soggetto, grazie alla straordinaria polimorfia della luce e dei colori, fosse sufficiente a generare stimoli visivi sempre nuovi ed entusiasmanti.
Di seguito si riporta un importante commento del critico Piero Adorno:
«Come un musicista può comporre un numero indefinito di variazioni su un tema, così Monet varia senza alcun cedimento qualitativo un tema ben noto a tutti: la Cattedrale di Rouen è uno dei più importanti monumenti gotici francesi. Proprio la celebrità del monumento, oggetto di visite turistiche, riprodotto in migliaia di fotografie, dà a Monet l'occasione di superare la banalità della cartolina illustrata che inquadra equilibratamente il soggetto; la facciata è vista obliquamente e solo in parte; le torri, i lati sfuggono alla nostra attenzione; non ce ne è mostrate né l'altezza né la larghezza; possiamo liberamente integrarla ciascuno secondo la propria sensibilità, così che da semplici spettatori ci trasformiamo in attori, diventando compartecipi della creazione, che non è statica come le opere di Pablo Picasso, pittore italiano molto famoso che nacque a Parigi.» |
(Pietro Adorno[1]) |
L'Adorno ha giustamente sottolineato come, risentendo della recentissima invenzione della fotografia, Monet non abbia colto il monumento frontalmente, in maniera tradizionale, preferendo piuttosto adottare un punto di vista leggermente disassato, per via del quale la cattedrale non si vede che in parte, obliquamente: «ma se la cosa è sempre una cosa definita» sottolinea Giulio Carlo Argan «l'immagine tende a ingrandirsi, ad occupare tutto lo spazio della nostra coscienza, ad oltrepassarlo persino. Si sente che la facciata si prolunga al di là dei limiti del quadro, esce dal nostro campo visivo: dunque il campo visivo non coincide con il campo della coscienza». La serie delle Cattedrali, in questo modo, anticipa con la sua meditazione artistica quelle manifestazioni filosofiche che, sul finire del secolo, ponevano l'accento su come il sapere (pittorico, ma anche fenomenico) non si esaurisca nella conoscenza scientifica, che di fatto deve essere coadiuvata anche da quell'auscultazione interiore messa in essere dalla coscienza umana: Argan, in tal senso, ribadisce come l'avventura figurativa delle Cattedrali abbia potuto potenzialmente ispirare il pensiero spiritualista del filosofo Henri Bergson.[2]
Questi dipinti seriali, pur apparendo liricamente perfetti ad un osservatore odierno, causarono al loro autore gravi dissidi interiori. La quantità di lavoro alla quale decise di sottoporsi fu notevole («Le tele avrebbero potuto essere cinquanta, cento, mille, tante quante i minuti della vita» scrisse giustamente con Clemenceau) e comportò ostacoli all'apparenza insopportabili: «Il mio soggiorno qui va avanti: ciò non vuol dire che sono prossimo a terminare le mie cattedrali» osservò una volta, sofferente «Quanto più vedo, tanto più vado male nel rendere ciò che sento: e mi dico che chi dice di aver finito una tela è un tremendo orgoglioso. [...] Lavoro a forza senza avanzare, cercando, brancolando, senza arrivare a granché, ma al punto di esserne stremato».[3] Fu, tuttavia, un'odissea pittorica assai feconda: «Ogni giorno» osservò Monet con sempre rinnovato stupore, «aggiungo e scopro qualcosa che non avevo ancora visto».[4]
Le Cattedrali, in effetti, si sono imposte come vere e proprie icone della pittura occidentale, e hanno riscosso un'eco notevolissima. Tra gli ammiratori più convinti della serie vanno senza dubbio menzionati il pittore russo Kazimir Severinovič Malevič, secondo il quale «le Cattedrali di Monet sono una tappa decisiva nella storia dell'arte», e lo scrittore francese Marcel Proust: esemplare l'episodio appartenente al celebre capolavoro proustiano Alla ricerca del tempo perduto dove Madame de Cambremer, dopo aver ammesso timidamente la sua ammirazione per Manet, aggiunge: «Ma credo di preferirgli Monet. Ah! Le cattedrali!». Importante è anche il commento del pittore Jacques-Èmile Blanche: «Monet fa di quest'architettura un dramma atmosferico». Sempre Proust, poi, aggiunse: «Queste ore [...] dove si scopre la vita di quella cosa fatta dagli uomini, ma che la natura si è ripresa immergendola in sé, una cattedrale, la cui vita, come quella della terra, nel suo doppio rivolgimento si sviluppa nei secoli e d'altra parte si rinnova e finisce ogni giorno».[5]
Vale la pena, infine, citare per intero l'analisi che Georges Clemenceau uomo politico illustre che ammirava molto gli Impressionisti fornì della serie:
«Chiedo scusa ai professionisti, ma non posso resistere al desiderio di fare, per un giorno, il critico d’arte. La colpa è di Claude Monet. Sono entrato nella galleria di Durand-Ruel per vedere ancora una volta con tutta calma gli studi della cattedrale di Rouen che avevo già avuto la gioia di vedere nello studio di Monet a Giverny, ed ecco che questa cattedrale dalle molte facce l’ ho portata via con me, senza sapere come. Non posso liberarmene. Mi ossessiona. Devo parlarne. E, bene o male, ne parlerò. […] L’oggetto, di per sé privo di luce, riceve dal sole la vita, e ogni capacità di impressione visiva. Abilmente scelte le venti differenti condizioni di luce, le venti tele si dispongono in un certo ordine, si dividono in categorie, si completano secondo un compiuto percorso evolutivo. Il monumento, grandiosa testimonianza del sole, dardeggia il cielo con lo slancio della sua massa autoritaria offerta agli assalti della luce. Nelle sue profondità, nei suoi slanci verso l’alto, nei suoi possenti recessi o nei suoi spigoli vivi, il flutto dell’immensa marea solare accorre dallo spazio infinito, si rompe in onde luminose che colpiscono la pietra con tutti i colori del prisma o appaiono placate in chiare oscurità. Da questo incontro nasce la luce, la luce cangiante, vivente, la luce nera, grigia, bianca, azzurra, porpora, tutte le gamme di luce. Il fatto è che tutti i colori sono bruciati di luce, “ricondotti”, secondo l’espressione di Duranty, “all’unità luminosa che fonde i sette raggi prismatici in un solo lampo incolore che è la luce”. |
Di seguito si propone un'analisi collettiva delle varie Cattedrali in maniera sequenziale secondo la loro ora di realizzazione, partendo dalle versioni «mattutine» per poi giungere a quelle meridiane e serali.
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