L'Apollo del Tevere è una statua in marmo, più grande della grandezza naturale,[1] raffigurante Apollo. Si tratta di una copia romana di epoca adrianea o antonina di un originale greco del 450 a.C.[2], ripescata a Roma dal Tevere durante i lavori di costruzione del Ponte Garibaldi (avvenuti tra il 1885 e il 1888). Attualmente è conservata al Museo Nazionale Romano presso il Palazzo Massimo alle Terme di Roma.[3] Dallo stile dell'opera traspare l'influenza della scuola di Fidia, forse si tratta di un'elaborazione dello stesso Fidia, nei suoi anni giovanili, così come suggerisce Jiří Frel;[4] Kenneth Clark afferma che "se questa rappresentazione, al posto dell'Apollo del Belvedere, fosse stata nota al Winckelmann, la sua intuizione e il suo bellissimo dono di ri-creazione letteraria sarebbero stati sostenuti meglio dalle qualità scultoree del soggetto."[5] Di quest'ultimo, inoltre, Brian A. Sparkes ricorda che "l'effetto generale delle copie tende sempre alla dolcezza, ed è così anche qui."[6]
Apollo del Tevere
La statua
Autore
sconosciuto
Data
copia romana di un originale greco del 450 a.C.
Materiale
marmo
Ubicazione
Museo nazionale romano di Palazzo Massimo, Roma
La figura, con i suoi ricci femminili,[7] potrebbe aver avuto un ramo di alloro e l'arco, considerando che non si tratta di un citarista. La pensierosa, malinconica riservatezza di questo Apollo servì da ispirazione per il modello iconografico delle teste raffiguranti Antinoo, soggetto simbolo dell'arte adrianea del secolo successivo.[8]
Un'altra versione della stessa tipologia è stata scoperta nelle rovine di Cherchell, in Algeria, nella provincia romana di Mauretania.[9]
Una copia era presente in passato nei giardini di Villa Borghese.[10]
Note
222 cm (7 ft. 3 ¼ in.).
Brunilde Sismondo Ridgeway (Fifth Century Styles in Greek Sculpture, 1981) suggested that its original, along with many other famous and established models generally dated in the 5th century BCE, should be attributed to a Late Hellenistic classicizing cultural phase of the first centuries BCE/CE;similarly E. Simon (LIMC2 1984, s.v. "Apollon/Apollo", 373f no. 38) called it an Antonine copy of a classicising Augustan original.
Inv. 608; its rusty staining are the result of its long immersion.
Frel, "A Hermes by Kalamis and Some Other Sculptures" The J. Paul Getty Museum Journal, 1 (1974:55-60) p. 57, and again in a review of Ridgeway, The Severe Style in Greek Sculpture in The Art Bulletin56.2, (June 1974:274).
Clark, The Nude: A Study in Ideal Form, 1956, p.74, illus. p. 75, fig.30.
Sparkes, "Greek Bronzes" Greece & Rome, Second Series, 34.2 (October 1987:152-168) p 167, illus. fig. 9 p, 166.
Susan E. Wood. Imperial Women: A Study in Public Images, 40 BC - AD 68 (1999, rev. ed. 2001:225: "The arrangement of hair drawn back over the ears and long shoulder locks appears in statues of both male and female deities, including Apollo"; note 69: Tiber Apollo and other examples.
Thorsten Opper, Hadrian: Empire and Conflict (2008) makes this point with an illustration of the Tiber Apollo, fig. 162, p. 185 paired with an Antinous.
LIMC ii. 373 no. 38, s.v. "Apollo"; Christa Landwehr, Die Römische Skulpturen von Caesarea Mauretaniae, vol. II (Idealplastik).
Illustrated from an old photograph and captioned "lost" by Frel 1974:59, fig. 7.
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