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Adolfo Wildt (Milano, 1º marzo 1868 – Milano, 12 marzo 1931) è stato uno scultore, disegnatore e medaglista italiano, membro dell'Accademia d'Italia dal marzo 1929[2].

«Adolfo Wildt è un mistico, anzi, un asceta della statuaria»

(Società delle belle arti di Firenze, La fiorentina primaverile, 1921[1])
Wildt ritratto nel 1923
Wildt ritratto nel 1923

Considerato da numerosi studiosi di storia dell'arte artista di grande levatura, fu progressivamente oscurato nel dopoguerra, per essere rivalutato dagli anni '80[3][4].


Biografia


Nato in una famiglia di origini svizzere ma milanese da duecento anni,[5] fu primogenito dei sei figli di Adamo, portinaio a Palazzo Marino, Wildt compie la terza elementare serale. A nove anni è garzone da un barbiere, poi da un orafo e in seguito da un artigiano marmista. A undici anni entra nella bottega dello scultore Giuseppe Grandi, dove svolge mansioni di fatica. Dal 1888 lavora in cooperativa con l'appuntatore Franzi per i suoi noti scultori lombardi, Butti, Alberti, Bezzola, Quadrelli, Argenti, Ripamonti. Abita in via Mercato. Segue a Brera la Scuola Superiore d'Arte Applicata, prepara studiando da solo l'esame di Anatomia, che supera facilmente. Frequenta nell'anno 1885-1886 il corso accademico di Disegno e Figura.

La Maschera del dolore (autoritratto) (1909)
La Maschera del dolore (autoritratto) (1909)

Nel 1891 sposa Dina Borghi da cui nascerà la primogenita Artemia nel 1892. Esegue La Vedova nel 1892, ritratto della moglie, esposto alla Società d'Arte Moderna di Roma nel 1894. Nello stesso anno incontra il collezionista d'arte tedesco Franz Rose con il quale fu legato per ben diciotto anni, sotto il quale ebbe la sicurezza economica e lavorativa assicurandogli il primo esemplare di ogni scultura in cambio di uno stipendio annuo di quattromila lire. Medita la Bibbia e la Commedia di Dante. Nascono i figli Francesco (1896) e Alma (1899). Partecipa episodicamente a mostre milanesi (1895, Annuale alla Società per le Belle Arti; 1900, IV Triennale di Brera; 1906, Esposizione Permanente). Viaggia ed espone a Monaco di Baviera (1895; 1896; 1900; 1902; 1903; 1907), Zurigo (1895), Berlino (1900), Dresda (1904). Conosce l'ambiente secessionista, lo interessano Hildebrand e Rodin. Si lega d'amicizia con Albert Welti, col quale intrattiene un fitto epistolario. Lavora esclusivamente per una committenza tedesca: oltre a Franz, Ernst, Frieda e Carl von Rose, Garré di Bonn, Bardt e Messtorff di Amburgo. Manda in Germania più di cinquanta opere in marmo. È segnalato dalla stampa e sostenuto dagli storici von Bieberstein ed Ehrenberg. Dal 1900 opera in un grande laboratorio in Corso Garibaldi 97 a Milano. Attraversa dal 1906 al 1909 una grave crisi d'arte e di coscienza che si conclude con l'esecuzione della Maschera del Dolore e con l'aprirsi della fase più violentemente espressionistica della sua poetica. In quel periodo distrugge o mutila diverse sue opere. Lavora dal 1900 per dodici anni a una monumentale fontana con tre figure da collocare nella nuova ala del palazzo di Dolhaü che Huber-Feldkirch andava progettando per Rose.

Trilogia: il Santo, il Giovane e la Saggezza, 1912 (dettaglio)
Trilogia: il Santo, il Giovane e la Saggezza, 1912 (dettaglio)

Espone con il titolo Il Santo, il Giovane e la Saggezza alla Triennale di Brera del 1912: l'opera, comunemente chiamata la Trilogia, vince il premio Principe Umberto, primo riconoscimento ottenuto dall'artista in Italia, ma è destinata a rimanere a Milano per l'improvvisa scomparsa di Rose nei giorni stessi dell'esposizione. Espone la Trilogia alla Secessione di Monaco; la famiglia Rose sostiene le spese di trasporto e avvia trattative con il sindaco di Milano per la donazione al Comune. Wildt progetta un insieme architettonico per la sua collocazione ai giardini pubblici, ma prevale la proposta di destinarla a un erigendo palazzo per l'Accademia di Belle Arti. Frattanto viene depositata in casse all'Arena Civica; durante la guerra sparisce il grande basamento in bronzo.

Nel 1914 Vir temporis acti è acquisito dal museo di Königsberg. Inizia la vicenda "italiana". Wildt si lega d'amicizia con Vittore Grubicy de Dragon (1914) e Ugo Bernasconi (1915); avvicina Gaetano Previati; nel 1914 nasce il rapporto di profonda stima e affetto con Giovanni Scheiwiller, che nel 1917 sposerà la figlia Artemia. Partecipa a numerose esposizioni: Cremona, mostra nel ridotto del teatro Ponchielli, febbraio 1914; Milano, Esposizione Nazionale di Brera, ottobre 1914; Roma, personale alla 84ª Esposizione internazionale della Società degli Amatori e Cultori, marzo 1915; Milano, Mostra dell'autoritratto alla Famiglia Artistica, novembre 1916; dicembre 1916, Esposizione d'arte degli alleati alla Permanente; 1918, Mostra del salvadanaio alla Galleria Pesaro; ottobre 1918, Nazionale di Brera; dicembre 1918, Annuale alla Famiglia Artistica.

È sostenuto dai prestigiosi interventi critici di Raffaello Giolli, Bernasconi (1917) e Sarfatti (1918); è nel giurì d'assegnazione del premio Principe Umberto. Non ha alcun successo di vendita e riprende il mestiere di finitore di marmi. Durante la guerra si dedica a un'intensa attività grafica.

«Poi nel 1919 con la personale alla Galleria Pesaro venne anche il successo popolare ad allontanarmi dai fianchi quella terribile e crudele tirannia che era stata la Povertà»

(Wildt, 1929)

L'anno prima con il successo dell'"Augusto Solari" alla Mostra del Salvadanaio, aveva conosciuto Giuseppe Chierichetti, facoltoso industriale e colto collezionista che gli avrebbe assicurato le commissioni della Vittoria (1919), dei Monumenti ai Caduti di Appiano Gentile e Valduggia (1920), del ricordo della figlia Mariuccia e del mausoleo di famiglia al Monumentale di Milano. Quest'ultima opera, nota come Edicola Chierichetti, non venne tuttavia ultimata: la mancanza di fondi da parte del committente non permise infatti al Wildt di portarne a termine la realizzazione. Alle 16 croci in marmo di Carrara che ornano il sepolcro dovevano infatti essere aggiunte 20 figure sempre in marmo e un ritratto in onice e ferro battuto della moglie del Chierichetti, ma l'opera rimase incompiuta e oggi appare più come un'architettura di tipo razionalistico piuttosto che l'elaborato monumento immaginato dall'artista.[6]

Elabora con Ettore Cozzani e Leonardo Bistolfi i termini del concorso per un Monumento al Fante sul San Michele del Carso: propone un'opera alta cento metri e bozzetti in gesso, di un frammento a grandezza naturale, alti cinque metri: proteste dei partecipanti e naufragio del progetto (1919). Con la personale alla Galleria Pesaro ottiene largo e definitivo successo. Ha l'appoggio di Vittorio Pica e Margherita Sarfatti. Espone a Torino, a Venezia (II Esposizione nazionale d'arte sacra, 1920), a Napoli (I Biennale, 1921), a Milano (Esposizione d'arte decorativa dell'Umanitaria, 1919; Galleria Pesaro, 1921; Bottega d Poesia, 1922), a Roma (I Biennale, 1921) e a Firenze (Fiorentina primaverile, 1922). Diventa una personalità al pari di Arturo Toscanini: D'Annunzio acquista il disegno La Musica e la Poesia (1920); L'Eroica gli consacra un volume sempre nel 1920.

Nel 1922 per i tipi di G. Modiano illustra con una serie di disegni la raccolta di versi Luce del poeta Walter Ottolenghi.[7]

Si instaura il luogo critico dell'opposizione a Medardo Rosso e si consolida il parallelo, già avanzato nel 1915, con Gaetano Previati: alla morte di lui disegna la copertina dell'edizione nazionale delle sue opere con testo di D'Annunzio (1920). Sempre D'Annunzio, attraverso Federico Balestra, gli richiede un monumento da collocare a Fiume, sulla terrazza del Comando, che prevede un basamento di bronzo alto tre metri e una testa in marmo di 230 quintali: il progetto non sarà condotto a termine. Nel 1921 esce L'Arte del Marmo, per i tipi di Ulrico Hoepli e grazie al sostegno di Giuseppe Chierichetti.

Espone nel 1922 cinquanta opere alla XIII Biennale di Venezia, e ottiene il premio Città di Venezia con La Famiglia; ebbe il consenso di Margherita Sarfatti, e stroncature da Soffici e Papini. È con Mezzanotte e Sommaruga nella commissione per il Monumento ai Caduti di Milano (1922). L'anno seguente, il 1923, viene accolta nei locali di Brera la sua Scuola del Marmo, serale e gratuita. Nel 1926 è nel comitato direttivo della I Mostra del Novecento italiano È insignito della commenda della Corona d'Italia. Incarichi ufficiali sempre più gravosi infittiscono la rete dei rapporti con Tosi, Carrà.

All’Accademia di Brera nel 1926 ottenne la cattedra di plastica della figura. Tra i suoi allievi ebbe giovani destinati a diventare artisti famosi: Lucio Fontana, Fausto Melotti, Luigi Broggini e il meno noto Giuseppe Busuoli. Nel 1926 espose alla Biennale veneziana un colossale busto di papa Pio XI. Nel 1928 contribuì, con tre busti, alla decorazione interna del Monumento alla Vittoria di Bolzano, su diretto incarico di Marcello Piacentini[8].

Nel marzo 1929 è scelto nel gruppo dei primi Accademici d'Italia nominati direttamente da Mussolini. Alla I Quadriennale di Roma del 1931 Wildt espose il colossale gesso alto sei metri del Parsifal, non accolto favorevolmente dalla critica dell'epoca. Wildt infatti aveva accentuato negli ultimi anni il suo "novecentismo" nordico, lontano dal classicismo di regime[9].


L'arte di Wildt


Il prigione, 1915
Il prigione, 1915
Fabio Filzi, monumento alla Vittoria, 1928 (Bolzano)
Fabio Filzi, monumento alla Vittoria, 1928 (Bolzano)

Partendo dal sottofondo romantico del tardo Ottocento, Wildt si dedicò all'arte di una scultura fortemente influenzata dalla Secessione e dall'Art Nouveau, caratterizzata da complessi simbolismi e da una definizione quasi gotica delle sue forme. L'estrema levigatezza delle superfici marmoree conferisce ai suoi busti una purezza assoluta ed un'integrità plastica che ha sempre cercato di conciliare con il sentimento drammatico di un'intensità quasi parossistica. Per questo, Wildt sta alle soglie dell'Espressionismo che si dimostra soprattutto nell'espressione dolente e sconvolta del suo Autoritratto del 1909.

Nella non sempre omogenea critica all'arte del Wildt, Palma Bucarelli sull'Enciclopedia Italiana nell'edizione del 1937 sottolinea un certo cerebralismo dell'artista.[10] Un corpus significativo di suoi lavori, grazie ad una donazione del marchese Raniero Paulucci di Calboli, che gli fu amico e mecenate, è presente nei Musei Civici di Forlì: Fulcieri Paulucci de' Calboli (1919), Santa Lucia (1926), San Francesco d'Assisi (1926), Maschera del dolore o Autoritratto (1908-1909), Lux (1920), La fontanella santa (1921), La Protezione dei bambini o Pargoli (1918). Nel 2012, la città di Forlì dedica a Wildt un'importante mostra, Adolfo Wildt. L'anima e le forme tra Michelangelo e Klimt[11], che è stata definita, in riferimento a questo artista, "la più grande mostra mai realizzata"[12].

Fra i metodi di Wildt per ottenere la colorazione traslucida del marmo caratteristica delle sue opere vi era quello di ripassarlo con stracci imbevuti di urina umana che, con applicazioni più o meno ripetute, conferiva al marmo differenti toni di avorio, dal più nuovo al più antico; per i toni freddi-verdognoli, invece, il Wildt utilizzava ripassature effettuate con sterco fresco di cavallo. In alternativa era solito utilizzare una tintura ottenuta facendo bollire in acqua tabacco, bucce di cipolla rossa e zucchero. Un esercizio che sottoponeva ai suoi allievi era proprio quello della realizzazione di sfere di marmo o riproduzioni di uova, su cui far eseguire la lucidatura e patinatura con il metodo citato, descritto nel trattatello L'arte del marmo dato alle stampe dal Wildt stesso nel 1922.[13]


I busti di Benito Mussolini


Il busto di Mussolini in bronzo
Il busto di Mussolini in bronzo

Wildt realizzò diverse copie in diversi materiali di busti raffiguranti Mussolini, il primo dei quali, in gesso, fu esposto la prima volta il 28 ottobre 1923, il giorno del primo anniversario della Marcia su Roma.
Era di Wildt il famoso busto di Benito Mussolini che adornava la Casa del Fascio di Milano e la cui distruzione a colpi di piccone nell'aprile del 1945 rimane una delle immagini iconiche della fine del fascismo.[14]
Altre varianti del busto sono conservate nei Musei civici d'Arte e Storia di Brescia (versione del 1923) e nella GAM di Milano (1924). Quest'ultima scultura si differenzia dalle altre in quanto non è un busto, bensì una maschera, realizzata in marmo di Carrara.


La morte


La tomba di Wildt al Monumentale di Milano
La tomba di Wildt al Monumentale di Milano

Il Wildt si spense il 12 marzo 1931 nella sua casa di via Pasquale Sottocorno a Milano in seguito a una broncopolmonite che lo aveva colpito durante una sua permanenza a Pavia; interessante, nella lettura critica all'opera del Wildt da parte dei suoi contemporanei, l'apertura dell'articolo che ne annunciava la scomparsa sul quotidiano La Stampa di Torino: «Non un grandissimo scultore, ma certamente un artefice insigne e nobile, una tempra raffinata di artista, una natura di esteta singolarmente vigile e intuitiva, ed un tecnico, infine, impareggiabile nella sua professione».[15] Giudizio che in qualche modo verrà poi ribadito da Palma Bucarelli nell'edizione del 1937 dell'enciclopedia Treccani sopra ricordata.[10]

La vicinanza dell'autore all'élite del fascismo e la posizione ricoperta nel mondo artistico dell'epoca valsero comunque alla famiglia del Wildt le condoglianze del Re, Vittorio Emanuele III, del Duce, del Presidente dell'Accademia d'Italia senatore Guglielmo Marconi e del Ministro dell'Educazione Nazionale Balbino Giuliano.[16]

Il Wildt riposa al Cimitero Monumentale di Milano, in un semplice monumento disegnato da Giovanni Muzio nel 1931 e composto da due corte stele a forma di T; sulla stele di sinistra è una copia in bronzo dell'Autoritratto (Maschera del dolore) del 1909; la stele di destra reca una maschera in bronzo della moglie Dina Borghi, a lui premorta, alla base della quale è riportata l'incisione Fedele io qui lo attesi. Entrambe le maschere, opera del Wildt stesso, furono replicate tramite fusione dal figlio Francesco.


Alcune opere


Maria dà luce ai pargoli cristiani, 1918
Maria dà luce ai pargoli cristiani, 1918

Pubblicazioni



Esposizioni



Breve excursus cronologico delle opere



Note


  1. Mario Tinti, Adolfo WILDT, in La fiorentina primaverile; prima esposizione nazionale dell'opera e del lavora d'arte nel Palazzo del Parco di San Gallo a Firenze, Catalogo, Società delle belle arti di Firenze, p. 233 e segg..
  2. Paola Cagiano de Azevedo, Elvira Gerardi (a cura di), Reale Accademia d’Italia - Inventario dell’Archivio (PDF), su Direzione generale per gli archivi, http://www.archivi.beniculturali.it (archiviato dall'url originale il 20 dicembre 2016).
  3. Elena Pontiggia, Il maestro dimenticato.
    «Oggi pochi in Italia conoscono Wildt, che pure gli studiosi considerano uno degli scultori più significativi del nostro secolo. (…) Come tutti i veri maestri, però, Wildt non crea una scuola, ma degli artisti. Non forma degli epigoni, ma figure indipendenti. «Che ognuno sia se stesso è ciò che conta» diceva sempre. E i suoi allievi hanno saputo ascoltarlo.»
  4. Paola Mola, nel 1988, individuò le ragioni dell’incomprensione nella "sostanza colta della sua arte, consumata nella quantità dei riferimenti stilistici"
  5. Ojetti, Ugo, Lo scultore Adolfo Wildt, in Dedalo; rassegna d'arte, anno VII, vol. II, Milano - Roma, Bestetti e Tumminelli, 1926-1927, p. 442.
  6. Carla De Bernardi, Un Museo a cielo aperto - Il Cimitero Monumentale di Milano, Youcanprint, 2014, ISBN 978-88-911-4025-8. URL consultato il 2 novembre 2015.
  7. Walter Ottolenghi, Luce, disegni di Adolfo Wildt, Milano, G. Modiano, 1922, SBN IT\ICCU\LO1\0575596.
  8. Sabrina Michielli, Hannes Obermair, BZ ’18–’45: ein Denkmal, eine Stadt, zwei Diktaturen. Begleitband zur Dokumentations-Ausstellung im Bozener Siegesdenkmal, Folio Verlag, Vienna-Bolzano, 2016, ISBN 978-3-85256-713-6, p. 111.
  9. Dizionario biografico Treccani
  10. Palma Bucarelli, WILDT, Adolfo, in Enciclopedia Italiana, vol. 37, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1937. URL consultato il 26 gennaio 2016.
    «Spesso però il desiderio di rendere idee universali o astratte e la ricerca dello stile conducono l'artista a una espressione plastica oscura, ove l'emozione si raffredda nel cerebralismo e in audacie tecniche di puro virtuosismo. I ritratti, più necessariamente aderenti alla realtà, sono le sue opere artisticamente meglio realizzate»
  11. Chiara Tinonin, Wildt torna a Forlì, in Il Giornale delle Fondazioni, Torino, Umberto Allemandi & C., 26 agosto 2011. URL consultato il 26 gennaio 2016.
  12. Chiara Fabbri, Ultimi preparativi per Wildt. Un grande omaggio al "genio dimenticato", su forlitoday.it, 26 gennaio 2012. URL consultato il 26 gennaio 2016.
  13. Adolfo Wildt, L'arte del marmo, Milano, Ulrico Hoepli Editore, 1922, p. 64. URL consultato il 26 gennaio 2016.
  14. Giovanna Poletti, E il busto di Mussolini andrà all'asta, in Corriere della Sera, 21 ottobre 1994. URL consultato il 26 gennaio 2016.
  15. La morte di Adolfo Wildt, in La Stampa, 13 aprile 1931. URL consultato l'11 gennaio 2016.
  16. Le condoglianze del Re e del Duce per la morte di Adolfo Wildt, in La Stampa, 13 aprile 1931. URL consultato l'11 gennaio 2016.
  17. Pio XI, su museivaticani.va.

Bibliografia



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[de] Adolfo Wildt

Adolfo Wildt (* 1. März 1868 in Mailand; † 12. Mai 1931 ebenda[1], Via Sottocorno 3[2]) war ein italienischer Bildhauer. Trotz anerkannter Bedeutung für die moderne Plastik und Skulptur ist sein Werk wenig bekannt.

[en] Adolfo Wildt

Adolfo Wildt (March 1, 1868 – March 12, 1931) was an Italian sculptor.[1] He is mostly known for his marble sculptures, which blend simplicity and sophistication, and paved the way for numerous modernist sculptors.[2]

[fr] Adolfo Wildt

Adolfo Wildt, né le 1er mars 1868 à Milan, et mort dans la même ville le 12 mars 1931, est un sculpteur et dessinateur italien.
- [it] Adolfo Wildt

[ru] Вильдт, Адольфо

Адольфо Вильдт (итал. Adolfo Wildt; 1 марта 1868 года, Милан — 12 мая 1931 года, там же) — итальянский скульптор и художник, оказавший значительное влияние на развитие современного пластического искусства.



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